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Questa malattia ci ha forse permesso di avere i nonni

La pressione evolutiva per combattere la gonorrea ha probabilmente avuto dei positivi effetti collaterali

Un nuovo studio suggerisce che, durante l’evoluzione come specie, una mutazione inizialmente selezionata per combattere la gonorrea ci abbia permesso di mantenere il cervello in salute più a lungo nella vecchiaia, permettendo di fatto l’esistenza dei nonni. Ecco i dettagli della scoperta

La gonorrea ci ha “regalato” i nonni

L’esistenza dei nonni, o meglio, individui anziani ma mentalmente ancora abbastanza abili da badare alla prole, è un fenomeno ancora non del tutto compreso dagli scienziati. Siamo una delle poche specie dove gli individui riescono a sopravvivere in relativa buona salute anche dopo l’età della riproduzione.

Nel 2015, un gruppo di ricercatori aveva scoperto che noi Homo Sapiens siamo dotati di un immunorecettore unico, tra i primati che ci protegge dall’Alzheimer e altre malattie degenerative del cervello. Questa mutazione ci distingue anche da altri ominidi primitivi, come i Neanderthal e i Denisova, che non l’avevano. E ora, grazie al nuovo studio, forse sappiamo come l’abbiamo ottenuta.

Un malattia insidiosa

Non sembra che questa mutazione sia arrivata per caso. Sembra invece essere attribuibile alla pressione evolutiva data da patogeni come il Neisseria Gonorrhoeae, ovvero la gonorrea.

Questi batteri provano a sfuggire al nostro sistema immunitario ricoprendosi dello stesso zucchero, l’acido sialico, che ricopre le cellule umane. Questo ha portato la nostra specie ad evolvere una versione mutata dell’immunorecettore CD33, chiamata huCD33, che è privo del componente che si lega all’acido sialico. Per questo motivo è capace di andare oltre questa “maschera” e identificare il batterio in quanto tale.

Effetti collaterali positivi

Questo nuovo immunorecettore, una volta sviluppato, è stato probabilmente utilizzato dalle cellule immunitarie del cervello, i microglia, per un altro scopo. Se il sistema immunitario di norma non deve attaccare le cellule del nostro corpo, questo smette di essere vero quando le suddette cellule cominciano a degenerare per l’invecchiamento, e devono essere quindi eliminate.

Il normale recettore CD33 sarebbe inibito dall’acido sialico, e non le riconoscerebbe come da distruggere. Il recettore huCD33 non ha invece questo problema, e si è rivelato adatto a riconoscere anche le cellule anziane, permettendo al corpo di liberarsi delle cellule celebrali danneggiate e delle placche senili associate con l’Alzheimer.

Un vantaggio evolutivo

Questo fattore potrebbe essere stato fondamentale per la nostra specie, per permetterci di vivere lucidamente qualche anno in più della nostra vecchiaia. Il vantaggio è anche evolutivo: la presenza di membri anziani ma abili ha permesso di pensare la crescita delle nuove generazioni in maniera meno dipendente dal tempo a disposizione dei genitori.

I ricercatori vogliono utilizzare questa scoperta per migliorare anche di più la lotta alle malattie neurodegenerative. Si è infatti notato come un’alta presenza di questa mutazione è correlata con una bassa incidenza dell’Alzheimer. Potrebbe essere quindi un primo passo verso la lotta e la prevenzione contro questa malattia.

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Giovanni Natalini

Ingegnere Elettronico prestato a tempo indeterminato alla comunicazione. Mi entusiasmo facilmente e mi interessa un po' di tutto: scienza, tecnologia, ma anche fumetti, podcast, meme, Youtube e videogiochi.

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