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La Tomba delle Lucciole: il doppiaggio con Gualtiero Cannarsi

Durante il recente Lucca Comics and Games, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Gualtiero Cannarsi, direttore del doppiaggio del nuovo adattamento de “La Tomba delle Lucciole”, di cui abbiamo parlato in questo articolo, e di molti altri film dello Studio Ghibli, riadattati con nuove versioni più fedeli all’originale e negli ultimi anni proiettati nei nostri cinema.  Ecco la nostra intervista.

ON: Partiamo dal principio, come ha iniziato a lavorare nel settore del doppiaggio?


Gualtiero Cannarsi: è una storia forse buffa perché io non avevo pensato di fare questo lavoro. Originariamente iniziai a lavorare nel settore degli editori di prodotti giapponesi, perché qualcuno sosteneva che scrivessi in un buon italiano. Così a 17 anni, facevo ancora il liceo, iniziai a scrivere articoli, speciali, dossier ecc. In seguito, proprio perché si riteneva che la mia lingua italiana fosse buona, cominciarono a farmi scrivere anche delle cartelle stampa e altre parti più da “dietro le quinte” e successivamente iniziarono anche a farmi rivedere i copioni. Li si aprì il vaso di Pandora, nel senso che venne fuori che i copioni erano davvero molto poco fedeli all’originale, anche perché nessuno era in grado di verificare la qualità della traduzione. Per poco fedeli intendo, esempio reale non inventato, che la versione giapponese diceva: “li stiamo sbaragliando, colpiamo insieme?” mentre il copione adattato diceva: “mi sta venendo fame, vorrei una bistecca al sangue”. Parola per parola la verità, questo era il livello. Quindi diciamo che era un problema per noi, perché a quei tempi io collaboravo con una piccola casa editrice di nicchia che era la Dynamic Italia, che originariamente era la Granata Press, e ovviamente una nicchia è in genere composta di appassionati molto informati sui prodotti, che richiedono che questi rispecchino il più possibile l’originale. Questo modo di lavorare non poteva andare bene, per questo ho cominciato a rivedere i copioni. Poi arrivò un prodotto particolarmente complesso che si chiamava Neon Genesis Evangelion, per il quale mi dissero: “Ok, vai in sala di doppiaggio a vedere un po’ come vanno le cose”. Anche lì ebbi un vero shock perché le cose procedevano in una maniera che per me non era sufficientemente ligia all’originale. Quando tu sei un committente che paga per un lavoro e nonostante questo non riesci ad ottenere quello che vorresti, alla fine c’è solo una soluzione: farti il lavoro da solo, e quindi si è finiti così.

ON: Trova che oggi ci sia maggiore fedeltà nell’adattamento di un prodotto televisivo o cinematografico rispetto al passato?


GC: Guarda sarò onesto; per poter rispondere in maniera realmente sensata a questa domanda dovrei essere un consumatore d’intrattenimento cinetelevisivo, che non sono perché io non ho la televisione da quando avevo 18 anni e vado pochissimo al cinema. Quindi la verità è che non ho il polso della situazione. La mia opinione è che in genere sì, ci sia maggiore interesse soprattutto da parte del pubblico, anche perché negli anni ‘90 l’originale era una videocassetta di formato NTSC che il tuo videoregistratore italiano non leggeva, ma adesso l’originale è quello che hai visto prima dell’edizione localizzata, perché lo trovi su Youtube. È dal basso che è nata una maggiore cognizione di quello che è l’originale, quindi penso che le cose si siano sensibilizzate un po’ di più rispetto al passato.

ON: Parliamo di un argomento che ha causato alcune sterili polemiche: i nuovi adattamenti fatti per i film dello Studio Ghibli, come ad esempio il caso di Mononoke Hime.  Alcuni di noi in redazione hanno studiato giapponese e sanno la difficoltà di riportare fedelmente le sfumature di quella lingua e abbiamo apprezzato molto le sue nuove versioni, quella di Mononoke Hime in particolare. C’è però chi, come detto all’inizio, polemizza riguardo a un adattamento troppo fedele e poco comprensibile per un pubblico più vasto. Qual è la sua opinione a riguardo?


GC: C’è sempre una cosa che viene sottovalutata. Il testo di un film è inerte, non è che voglia essere tradotto, cioè è fermo nel tempo, quindi non è nemmeno un discorso di volontà e intento. Il processo di intenzioni è già capzioso. In genere ho notato che le persone che sono molto propense a fare questo genere di polemica, spesso sono scarsamente interessate al film e molto interessate alla loro personale esperienza; alla fine diventa un discorso molto narcisistico se vogliamo dire: “Ah, ma io la vivo come, ecc.” però stiamo parlando del film, non stiamo parlando di te (ride).
Io sono convinto che quando qualcosa è fatto in una lingua che noi capiamo correttamente, è impossibile non poterla comprendere, perché al massimo richiede solo uno sforzo in più di comprensione dello spettatore. Ad esempio ne La Tomba delle Lucciole c’è una parte in cui Seita insegna alla sorellina a suonare il pianoforte utilizzando ancora le note giapponesi che da lì a poco sarebbero state sostituite dai classici Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si. Guardando la scena si capisce che le sta insegnando a suonare anche se non si comprendono le note giapponesi, è chiaro cosa sta succedendo, poi se lo spettatore vuole può fare una ricerca e scoprire il fatto delle note giapponesi, in quel caso ha imparato una cosa nuova.

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ON: Visto il successo che recentemente stanno avendo gli anime al cinema, anche se limitati a pochi giorni di permanenza nelle sale, crede che un giorno le opere giapponesi di animazione di alto livello potranno avere lo stesso trattamento di un film d’animazione americano anche solo come durata nelle sale cinematografiche? 


GC: No, per il semplice motivo che le opere giapponesi generalmente sono pensate per il pubblico giapponese. Il che vuol dire che hanno un sapore particolare: questo sapore può piacere o non piacere, ma per statistica piacerà sempre a un numero più ristretto di persone rispetto a una cosa che è stata fatta per tutti, e che quindi ha tutti i sapori, il che poi significa che in realtà è insapore. Questo vale per molte delle produzioni statunitensi che vengono pensate per essere prodotti internazionali. Io penso che così nella cucina, così nella cultura, così nella musica, o tu hai il tuo sapore o cerchi di piacere a tutti e quindi sei diventato insapore. Sai che se mischi tutti i colori a tempera non ottieni un colore, è un po’ la stessa cosa (ride).

ON: Passiamo alla nostra ultima domanda di rito: se potesse avere un super potere quale vorrebbe?


GC: Domanda difficile. Un super potere… dunque quello di correggere i miei errori riconosciuti. Nel senso non di tornare indietro nel tempo e correggerli, come se non ci fossero mai stati, ma di avere sempre la possibilità di poterli correggere nel futuro. C’è una frase di Steve Jobs, Steve Jobs deve essere ormai la persona più citata, deve aver superato anche Jim Morrison (ride), una frase molto carina che a me piace tanto: “I don’t care about being right, I only care about success”, ma success in questo caso non è il successo, ma la riuscita. E’ un po’ così: il fatto non è se ho ragione o torto, il punto è che se ho fatto un errore deve essere corretto, non perché l’ho fatto io ma perché è un errore e quindi non ha dignità di esistenza.

Ringraziamo Gualtiero Cannarsi per l’intervista concessaci.

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Silvio Mazzitelli

Di stirpe vichinga, sono conosciuto soprattutto con il soprannome “Shiruz”, tanto che quasi dimentico il mio vero nome. Videogiocatore incallito sin dall’alba dei tempi, adoro il mondo videoludico perché dopo tanto tempo riesce sempre a sorprendermi come la prima volta. Scrivo ormai da diversi anni di questa mia passione per poterla condividere con tutti. Sono uno dei fondatori di Orgoglio Nerd e sono anche appassionato di tutto ciò che riguarda la cultura giapponese e la mitologia (in particolare quella nordica).

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Un commento

  1. Uff (sospirone).. -_- vediamo di mettere un po’ d’ordine.

    Il dialogo il un opera audiovisiva complessa è _parte_ del messaggio che è, nella visione dell’autore (e nel caso specifico in particolare del regista) il risultato dell’iterazione delle parti. Questa è una caratteristica del mezzo ed è _al di sotto_ anche del substrato culturale in cui l’opera è concepita nonchè del pubblico a cui è rivolta, che sono fattori contingenti. Se si vuole adattare un opera è necessario, di volta in volta, interrogarsi su come il messaggio _nella sua interezza_ viene recepito dal fruitore ideale (che di solito, anche se non sempre, si suppone possedere i medesimi riferimenti linguistico-culturali dell’autore) e TRASLARE la parte modificabile utilizzando per quanto possibile le equivalenti strutture e i registri disponibili nella lingua di destinazione e relative ai medesimi messaggi. Compito difficile, spesso ai limiti del possibile con certe opere, ma è questo che occorre fare se si vuole rendere un servizio all’opera…anche tralasciando, la dove non è indispensabile, la fedeltà alla struttura della lingua originale.

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