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La forma dell'acqua e la rigidità della pietra

È davvero difficile, quando si tirano in ballo temi come i delirii della Guerra Fredda, il disprezzo del diverso e la lotta per la libertà, dire qualcosa di incisivamente nuovo. Eppure, in un periodo che comincia a sentire l'esigenza di tornare indietro alle lezioni del passato, Guillermo del Toro è riuscito nell'impossibile. Al di là di ogni tecnicismo, The Shape of water altro non è che questo: una fiaba moderna che chiede di essere ascoltata con attenzione, offrendo, nelle pieghe di ogni inquadratura, una morale semplice seppur preziosa. Una morale che si sviluppa come il tema dominante di una sinfonia lungo molteplici direttive narrative, precipitando verso un finale intriso di enigmatico lirismo.

Il titolo stesso dell'opera offre un'agevole chiave ermeneutica, introducendo l'elemento simbolico dominante dell'intera pellicola: l'acqua. Non si tratta, però, di una formulazione serena. "La forma dell'acqua", infatti, risulta essere un'espressione puramente ossimorica, che accosta il paradigma espressivo del divenire incontrollato e incontrollabile (l'acqua) con il lemma filosofico che più degli altri si presta a esprimere una placida stabilità (la forma). Siamo così già posti a confronto con la dicotomia che ci accompagnerà per l'intera durata della nostra "incursione" in quest'opera, quella tra libero movimento, portatore di caos e disordine, e stasi, garante invece della pacifica permanenza delle strutture sociali. Su un piano morale, quello più importante in questa sede, tale opposizione si traduce nella dialettica tra la volontà ec-centrica dell'individuo, che tende a scontrarsi con le direttive dominanti del contesto in cui vive, e il sacrale rispetto di queste ultime, in nome di un sicuro conformismo. Eccentrica, dunque, è la volontà che si ribella alle costrizioni, come eccentrici sono i protagonisti "buoni" della vicenda, per ragioni diverse: invalidità, omosessualità, appartenenza a un gruppo etnico ancora non affrancatosi dai pregiudizi razziali. Di contro, il "nemico" è costituito dal sistema stesso, e dai suoi sacerdoti. Ogni personaggio, a prescindere dalla sua appartenenza a una di questa abbozzate fazioni, oscilla tra i due poli che abbiamo precedentemente definito.

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I due estremi da considerare sono, naturalmente, rappresentati dalla classica coppia fiabesca eroe –anti-eroe, ossia dalla muta Elisa Esposito e dal colonnello Strickland, figura cupa, auto-parodistica nell'esagerazione di quei tratti caratteriali che lo rendono l'incarnazione perfetta dell'ideale di uomo pragmatico e risoluto del suo tempo – e le scene dedicate alla sua famiglia non mancheranno di strapparci un sorriso, ricordandoci quelle famiglie "tradizionali" tanto care alla pubblicistica di un tempo, sempre associate ai sani valori del sistema. Elisa e Strickland, una volta ingaggiata la lotta per la salvezza della Creatura, si muovono dentro sfere morali totalmente inconciliabili, e lottano per rimanervi. È importante porre a tal proposito due appunti. Innanzitutto, va sottolineato il repentino, brusco cambiamento che coinvolge Elisa fin dai primi minuti del film, una sorta di liberazione spirituale che porta una donna, tanto assorbita dalla monotonia senza orizzonti della propria vita da dover inquadrare persino i propri momenti di piacere sessuale all'interno di uno schema fisso e invariabile, a muovere guerra alle più alte e implacabili istituzioni del tempo. Il distacco di Elisa è radicale fino all'incoscienza. Strickland, di contro, sussume a valore massimo la propria aderenza al sistema, è una perfetta bestia da zoo che lotta per conservare la propria posizione. In Strickland il polo dell'individualità si configura come il baratro nel quale rischia di essere scaraventato qualora dovesse fallire la propria missione. Un baratro coestensivo al totale annullamento fisico, già in atto nella cancrena delle sue dita. Il colonnello conosce l'individualità solo come prospettiva di morte.


Due personaggi minori, le classiche "spalle dell'eroe", meritano parimenti una certa attenzione. Il riferimento va, naturalmente, a Zelda, collega e amica afroamericana di Elisa, e a Giles, vicino di casa omosessuale della protagonista. Se l'affrancamento di Zelda dal proprio stato di sottomissione al marito, figura anch'essa statica e caricaturale, risulta essere alquanto tardivo, il percorso di Giles è invece più interessante. L'uomo acquista la risolutezza necessaria per sostenere le scelte di Elisa soltanto dopo aver vissuto una scena di duplice discriminazione. Cullatosi per così tanto tempo in fantasie amorose sul commesso di una pasticceria, fantasie che in un certo senso gli avevano consentito di accettare passivamente la propria emarginazione sociale, vede crollare ogni mistificazione davanti all'atteggiamento del giovane da cui è attratto, che si scaglia prima contro di lui, in quanto omosessuale, e poi contro degli avventori di colore. Prima di abbandonare il locale, Giles si pulisce meticolosamente la lingua dalla pessima torta che si costringeva a mangiare pur di poter indugiare nella conversazione con l'uomo di cui si era invaghito, un gesto la cui valenza simbolica non ha bisogno di essere spiegata.

Abbiamo finora tralasciato la menzione di un unico personaggio, Robert 'Bob' Hoffstetler, scienziato sovietico infiltratosi nel laboratorio con lo scopo di studiare la Creatura per poi eliminarne ogni traccia fisica. Dimitri (questo è il suo vero nome) decide però di seguire la propria volontà da libero uomo di scienza, assecondando il piano di Elisa per poi ingannare i propri referenti russi e tornare in patria. Ed è proprio qui che si fa largo l'ombra del suo imperdonabile errore. La tragica vicenda di Hoffstetler è rappresentativa della radicalità di ogni grande scelta, di ogni dicotomia. Una volta imboccata la strada dell'umana individualità, non c'è possibilità di ritorno nell'alveo del sistema. Così la sua fine è segnalata dal rifiuto, da parte dei compatrioti che dovrebbero riaccoglierlo tra di loro, della parola d'ordine, quella stessa parola d'ordine che tanto lo aveva irritato in precedenza. Sul piano "sociale", Dimitri era già morto.

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Chiudere questo nostro abbozzo di analisi sulla morte del buon Russo può sembrare una scelta crudele, ma la riteniamo tuttavia significativa. Bob abbandona questo mondo con un sorriso, quello sardonico di chi sa di aver comunque avuto la meglio, certo, ma anche quello soddisfatto di un uomo che muore pagando il dazione per un'autentica, seppur estemporanea, esistenza. La vera morale, che conferisce valore a ogni sacrificio, è esplicitata a chiare lettere dalle parole senza voce di Elisa: se non facciamo niente, non siamo niente

Testi di Mario A. Vella (Ecce Ovo)

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