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La filosofia di Westworld

Westworld è un enorme parco divertimenti a tema western popolato da androidi (i Residenti, o Hosts), programmati per seguire una stabile routine giornarliera e assecondare una storyline pre-impostata, permettendo ai visitatori (Guests) di vivere, in cambio di cifre esose, esperienze immersive prive di alcuna restrizione legale, o morale. Gli androidi vengono dotati di specifiche ricordanze (memorie artificiali) al fine di massimizzarne il realismo, ma presto questo sistema sembra causare in loro anomalie di funzionamento inaspettate, fino alla presa di coscienza della propria condizione.

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La memoria, madre della coscienza.

Sono i ricordi (le ricordanze), in un certo senso, a innescare le prime anomalie all'interno degli Hosts, a renderli, in poche parole, "più umani", o semplicemente, più coscienti di sé. Quello della memoria è un fil rouge filosofico che risale ai pensatori greci e ai primi studi sulla conoscenza umana e sull'anima (psychologheia, da cui psicologia). Nel X libro delle Confessiones di Sant'Agostino, però, assistiamo a una vera e propria apologia della memoria, ricettacolo di ogni nostra esperienza, grazie alla quale Dio si rivela all'uomo. 

Sempre più supportata dallo sviluppo delle neuroscienze, la filosofia novecentesca – un nome su tutti, quello di Henri Bergson – ha indagato a fondo le potenzialità della capacità mnemonica e il suo ruolo nella costruzione di una coscienza stabile. Come gli automi di Westworld, anche noi troviamo nelle nostre ricordanze la condizione essenziale per un'esistenza che attraversi il tempo e duri nonostante il suo scorrere, come se il passato persistesse ancora nel presente e ciò che un tempo eravamo ritornasse a vivere in ciò che siamo ora, formando un tutt'uno cosciente di sé.

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La mente bicamerale.

È il 1976 quando la pubblicazione di The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind, opera di Julian Jaynes propone al mondo scientifico la tesi del bicameralismo psichico. Secondo Jaynes, fino al II millennio a.C. ca., periodo di crisi sociale generalizzata del Mondo Antico, l'uomo non avrebbe sviluppato una vera e propria coscienza unitaria. La mente umana sarebbe stata scissa – da qui l'utilizzo del termine bicameralismo, proprio del lessico politico – due parti: una avrebbe parlato, impartendo ordini seguiti dall'altra. Le voci percepite dalla "camera" passiva sarebbero state attribuite a entità divine, fino al crollo di questa struttura, non più capace di fronteggiare le esigenze di una società in procinto di ristrutturarsi, e alla conseguente nascita della coscienza. Westworld cita direttamente questa teoria, alludendo a come la nascita di una coscienza unitaria e libera altro non sia che frutto di un processo storico tracciabile, un'evoluzione che non possiamo escludere coinvolga anche gli automi.

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Dove tutto è concesso.

La funzione "pratica" di Westworld consiste nel dare agli avventori la possibilità di vivere in totale libertà un'esperienza di vita alternativa quanto più realistica possibile. All'interno del vasto ventaglio di alternative loro offerto, i Guests mostrano un'ovvia predilizione per tutti quegli atti che, normalmente, cozzerebbero con le norme sociali vigenti: violenza, lussuria sfrenata, sadismo senza limiti; il tutto coerentemente giustificato dal fatto che nulla a Westworld è reale. L'incontro con la morale delle macchine, nel cui regno tutto è concesso, instaura un dislivello (questo il termine adoperato dal filosofo tedesco Günther Anders) con la morale degli uomini, un divario frustrante, che deve essere in ogni modo colmato. Viene da chiedersi, a questo punto, se Westworld sia uno sfogo per le pulsioni represse dei clienti o la causa stessa della loro malvagità: una nuova possibilità, ci dice ancora Anders, è sempre un nuovo imperativo. Potere è dovere.

Ricorrente, all'interno della serie, è il riferimento alla sfera religiosa, e in particolare al tema della Genesi. La costruzione del parco e dei suoi Residenti rispecchia infatti la Creazione del Giardino dell'Eden e dei suoi abitanti par excellence, Adamo ed Eva, richiamando quella vasta costellazione di disquisizioni teologiche e filosofiche scaturita dalla lettura dei primi passi della Bibbia, nonché l'ombra, impressa a viva fiamme nel nostro repertorio culturale dal Frankestein di Mary Shelley, delle angoscianti pretese dell'uomio di ergersi al rango di Dio. 

Da una parte, dunque, siamo portati a riflettere sulla nostra stessa attitudine prometeica, a sfiorare con mano il fruttto più estremo del delirio tecnico, mentre dall'altra dobbiamo accettare di non essere più i soli protagonisti "etici" delle vicende narrate. Come nel racconto veterotestamentario, anche Westworld apre l'interrogativo sul valore di quello che, alla fin fine, è "solo" un prodotto di un'entità superiore, o presunta tale. In quale stato vivono gli Hosts? La loro mancanza di arbitrio e autocoscienza rende forse le azioni che svolgono ogni giorno – persino le più atroci, le più disumane – puramente innocenti? Un mondo dove non si dà scelta è davvero al di là del bene e del male? La devianza dagli ordini del Creatore è caduta o presupposto di un'autentica libertà? Ogni domanda che ci poniamo sulla natura degli Hosts, naturalmente, è solo una riproposizione, una proiezione, di quegli antichi quesiti che assillano l'umanità da secoli: ogni risposta che diamo si applica, prima di tutto, a noi stessi.

Testi di Mario A. Vella (Ecce Ovo)

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