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L’eredità di Diablo

Diablo 3 è uscito da due giorni ma, ahinoi, non abbiamo ancora avuto modo di dedicargli il tempo che merita. Perchè? Ma è ovvio: perchè siamo troppo impegnati a spezzarci la schiena PER VOI. Anche se dalla rete giungono notizie che il tempo strettamente necessario per giocare il gioco fino alla sua conclusione è grandemente inferiore a quanto si potrebbe pensare (non siamo ancora ai quattro minuti di Morrowind o agli undici di Super Mario Bros. 3, ma ci stiamo avvicinando), noi non crediamo che quello sia il modo giusto per godersi i videogiochi in generale, e questo videogioco in particolare.
Ma allora, direte giustamente voi, se non l'avete ancora giocato come pretendete di poterne parlare?
Semplice: parleremo di cose diverse che non hanno strettamente a che vedere con il gameplay, la grafica o la longevità. L'uscita di Diablo 3, per esempio, ci offre la possibilità di dire la nostra sulla maturità del medium videogioco come forma espressiva e, perchè no, artistica. Come probabilmente sapete tutti, Diablo 3 ha avuto una travagliata storia circa il proprio sviluppo: le basi del gioco sono state gettate addirittura nel 2001, quando ancora esisteva la divisione North della Blizzard. Poi, due anni dopo, l'ormai celebre cozzo fra diversi uomini chiave di Blizzard North e la Vivendi, proprietaria di Blizzard, ha sconvolto gli eventi. Molti degli sviluppatori di Blizzard North, fra cui i creatori dei primi due Diablo, Erich e Max Shaefer, David Brevik e Bill Roper rassegnarono le proprie dimissioni come gesto estremo per protestare contro le politiche di risorse umane della Vivendi, ma nelle loro intenzioni questa mossa era pensata solo come una doccia fredda per i propri capi, non perchè volessero andarsene davvero.

Si trattava delle migliori persone che lavoravano allora alla Blizzard, sviluppatori esperti e di enorme successo: il senso doveva essere qualcosa come “non avranno il coraggio di licenziare anche noi, ma se mostriamo un po' i muscoli dovranno starci a sentire per forza”. Com'è andata lo sappiamo bene: la Vivendi ha visto il bluff di Roper e soci e ha candidamente accettato le loro dimissioni, con il risultato che Blizzard North si trovava senza i propri uomini migliori. Lo sviluppo di Diablo 3 iniziò presto a naufragare finchè l'intera divisione non venne chiusa e il gioco passò alla divisione principale della casa, Blizzard Entertainment, e più precisamente fu messo in mano a Jay Wilson, uno sviluppatore di chiara fama che ha lavorato a giochi splendidi come il primo Dawn of War e la serie Company of Heroes. La Blizzard, come sappiamo, è piena zeppa di grandi professionisti e si fa punto d'onore di non rilasciare le proprie opere finchè non sono pronte, quindi non abbiamo alcuna preoccupazione circa la qualità del gioco. Il punto è piuttosto un altro: quanto è importante nello sviluppo di un videogioco l'impronta autorale di chi ci lavora? Se fosse un qualunque altro medium siamo certi che l'idea di un così brusco cambio della guardia avrebbe avuto un effetto decisamente più possente. Pensate se il settimo libro della saga di Harry Potter non fosse stato scritto dalla Rowling ma da, poniamo, Philip Pullman, o il prossimo libro de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco da Margaret Weis. Pensate se il quarto Indiana Jones fosse stato diretto da James Cameron. Pensate ad una parodia di Ratman scritta da Tito Faraci e disegnata da Cavazzano. Stiamo parlando di grandi scrittori, grandi registi, grandi fumettisti, ma semplicemente non sono intercambiabili fra di loro. Quando, per qualche contingenza, succede uno scambio di questo genere (ci viene in mente l'ultimo libro della saga della Guida Galattica per Autostoppisti, scritto da Eoin Colfer, o Lo Hobbit che stava rischiando di venir diretto da del Toro, o ancora I Figli di Hùrin di Christopher Tolkien), si percepisce senz'altro che c'è qualcosa che non va.

Coi videogiochi questo ancora non succede. Il videogioco è un medium che anela ad essere riconosciuto come forma espressiva matura e comparabile con le altre, e noi riteniamo che il riconoscimento del ruolo dell'autore sia una conquista di importanza fondamentale in questo percorso che, è chiaro, è ancora lungo e tutto in salita. Passi in questo senso ne sono già stati fatti, e il mondo dei videogiochi ha le proprie superstar. Molyneaux, Miyamoto, Tim Schafer, Goichi Suda, sono tutte persone che ci fanno dire “è uscito il nuovo gioco di…”, ma succede ancora troppo poco spesso, mentre si dà ancora più importanza al titolo del gioco seguito dal numerino, come se bastasse questo a garantire continuità. Non fraintendeteci: Diablo 3 sarà senz'altro un ottimo videogioco. Ci giocheremo, ci spenderemo centinaia di ore e sarà un'esperienza soddisfacente, proprio come è successo con Diablo e Diablo 2. Semplicemente, secondo noi, il vero erede di questi giochi leggendari non è affatto Diablo 3, bensì quell'imperfetto, bistrattato, grezzo Hellgate London, creato dagli esuli della Blizzard North durante la loro sfortunata avventura con i Flagship Studios. 
Restate in ascolto: quando avremo avuto il nostro tête-à- tête con Diablo 3 avrete senz'altro il nostro parere a riguardo. Per ora possiamo dirvi che lo giocheremo e lo interpreteremo come qualcosa di indipendente, di slegato dai suoi pesanti antenati. Nel bene e nel male.

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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Commenti

  1. c’è anche da considerare (come giustamente hai detto) che i videogames non vengono solitamente attribuiti ad una singola persona (come invece i libri, o in parte anche i film, in cui sono sempre chiari regista, attori, responsabili delle varie parti quali colonna sonora eccetera), ma sono prodotti da case editrici. Per dire, io non sono un esperto di videogiochi, e degli autori da te menzionati conoscevo solo Miyamoto (mentre conosco tutti i titoli creati da detti autori, almeno “di fama”).
    Quando al titolo di un videogioco verrà aggiunto “di *pincopallo*”, allora forse verrà data più dignità e riconoscimenti agli autori. Che poi anche lì, spesso l’autore non è uno solo, ma una squadra, i cui componenti possono variare nel tempo (un po’ come le band).
    è un discorso compesso ^^’

  2. Confermo per quanto riguarda la longevità del gioco; DIablo 3 è decisamente più corto del 2, ma da un certo punto di vista è meglio, visto che così si ha modo di provare meglio le varie classi, tutte molto interessanti e diversificate (tranne lo sciamano, che fa cagare XD).
    DI sicuro è diverso dai suoi predecessori, non tanto come tipo di gioco ma più che altro in alcune meccaniche.
    Giocatelo presto che son curioso di avere le vostre impressioni.
    Ah già, date un asciugamano al povero Goichi, poveretto…

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