Intrattenimento

Jurassic World – Il regno distrutto: evoluzionismo in una saga

Il ritorno a Isla Nublar con Jurassic World nel 2015 è stato accolto piuttosto tiepidamente dalla critica, ma ha avuto un successo di enormi proporzioni in termini di pubblico, permettendo alla pellicola di entrare tra i 10 migliori incassi della storia del cinema e battere record su record. Questa era la prova definitiva che nel mondo c'era ancora grande voglia di un film incentrato sull'affascinante mondo dei dinosauri e che l'interesse per la saga di Jurassic Park, a 25 anni dal primo film di Steven Spielberg, era alto. Si è deciso quindi di riprovarci con Jurassic World – Il regno distrutto, questa volta con J.A. Bayona dietro la macchina da presa, creando qualcosa però che si discostasse da tutti gli altri titoli del franchise.

Già, perché la prima cosa che si può dire di questo film è che è sensibilmente diverso da tutti quelli che lo hanno proceduto. È un passo in avanti o, per restare in tema, un nuovo gradino della scala evolutiva, che sviluppa l'universo della saga in nuove direzioni, distaccandosi da alcuni elementi caratteristici. Alcune scelte, a partire dal ritorno dei protagonisti della pellicola precedente che permette l'esistenza di una continuità più forte che in passato, danno una nuova freschezza a una serie che ha sempre avuto la tendenza a ritornare sugli stessi schemi, senza un vero sviluppo.
In quest'ottica si possono anche rivalutare alcuni aspetti di Jurassic World. Alcune sequenze rimaste in sospeso, alcune scelte contestate, ma soprattutto alcuni temi solamente accennati nel titolo del 2015 vengono qui ripresi e viene dato loro un respiro più ampio, rendendoli retroattivamente un primo approccio a una discussione da sviluppare in questo capitolo e non semplicemente idee lasciate a metà. Alcuni di questi sono ricollegabili addirittura al primo insuperato capitolo della saga, riunendo così in un grande percorso le varie pellicole.
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A questo proposito, sono tanti i richiami ai primi tre film anche se è giusto notare che, rispetto a Jurassic World, si tratta spesso di riferimenti piuttosto sottili, difficili da riconoscere se non si hanno ricordi freschi delle pellicole. Una scelta forse dettata dal volersi accattivare i fan più hardcore che, tipicamente refrattari al cambiamento, potrebbero non apprezzare alcune scelte. Meno difficile da cogliere, posto anzi sotto i riflettori per ovvi motivi, è il cameo di Jeff Goldblum che riprende il ruolo del caosologo Ian Malcolm: pur nei pochi secondi in cui compare è capace di emozionare e di rimanere impresso nella mente dello spettatore fin fuori dalla sala.
Nonostante tutto, non mancano ovviamente dei problemi in questo nuovo capitolo, come alcuni cliché e scene già viste e riviste proposte per l'ennesima volta forse per omaggiare nuovamente il passato, ma risultando fin troppo prevedibili. A questo si aggiunge un cast di personaggi secondari nuovi non particolarmente memorabile, che difficilmente conquisterà gli appassionati. Sempre legato a ciò, c'è il ritorno per l'ennesima volta di una dicotomia totale tra buoni e cattivi, con i secondi estremamente stereotipati e portati fino all'eccesso. Qualche tentativo di problematizzare eroi e malvagi viene fatto, ma subito dimenticato. Un maggiore lavoro in questo senso sarebbe stato molto interessante per il film.
Jurassic World – Il regno distrutto va quindi riconosciuto il merito di essere un capitolo che apporta un'evoluzione in un franchise che proprio quest'anno spegne 25 candeline, e il risultato finale è positivo nel complesso. Molto probabilmente i fan più accaniti, come spesso succede, faranno fatica a digerire certe scelte, ma sono assolutamente necessarie, per evitare il crollo di incassi e qualità visto in passato con i primi tre film.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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