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Jurassic World: come possiamo creare un baby dinosauro?

Il ritorno al cinema di Jurassic Park, 22 anni dopo il primo memorabile episodio, ha causato un improvviso picco di salivazione nella nostra squadra di esperti in genomica applicata. Non tanto per la sfida scientifica rappresentata dalla possibilità di decodificare il codice genetico di specie estinte credute perdute per sempre, quanto all’idea di poter rigirare in versione biologica la scena del poster di Transformers, l’era dell’estinzione. E diciamoci la verità, uno scienziato in camice bianco e occhiali di protezione su di un tirannosauro inferocito ha la sua buona dose di nerdica epicità.
Ma mamma Hollywood ci ha da sempre nutrito di flebili sogni e fragili illusioni che finiscono per essere malmenate dalla dura realtà, come un secchione a scuola con in tasca i soldi per la merenda. L’idea di poter prelevare codice genetico da insetti rinchiusi da milioni di anni in prigioni di ambra solidificata sfora nel mondo della fantascienza quasi quanto il volo interstellare… Oppure no?
Tagliamo corto sulla suspense: i dati in possesso degli scienziati di OrgoglioNerd dicono che la cosa è scientificamente possibile, sebbene al momento ancora tecnicamente inattuabile. Il sequenziamento del DNA ha fatto passi da gigante in poco più di trent’anni, sviluppando tecniche veloci ed affidabili, mentre l’aumento esponenziale della potenza di calcolo dei processori consente un trattamento statistico dei dati in tempi decine di migliaia di volte minori rispetto al passato. Ma tutto questo è assolutamente insufficiente se il materiale di partenza non è adeguato. Basti pensare che per la codifica completa del genoma umano (Human Genome Project) sono serviti 10 anni, con a disposizione una fonte di materiale pressoché inesauribile. Di tirannosauro invece abbiamo solo pochi frammenti di tessuti molli e qualche gocciolina di sangue nell'equivalente zanzaresco della prigione di Han Solo. Decisamente più complesso.
Michael Crichton nel suo romanzo aveva proposto di completare il DNA mancante utilizzando frammenti di quello delle rane. Ipotesi non completamente scombussolata, ma comunque problematica perché richiederebbe che gli scienziati conoscessero esattamente quali geni della rana corrispondono a quelli da sostituire nel dinosauro. Attualmente questo equivale a cercare di risolvere un riquadro di parole crociate a schema libero di milioni di caselle per lato, probabilmente il sogno proibito del defunto chimico enigmista Piero Bartezzaghi ma decisamente fuori portata per chiunque altro. 
Ma se non fossimo disposti ad aspettare? Fin dove ci possiamo spingere con quello che abbiamo ora a disposizione ora?
Con un danno non trascurabile all’epicità dell’immagine e un netto richiamo ai film d’animazione della 20th Century Fox potremmo accontentarci di un mammuth impennato o di una bella tigre dai denti a sciabola… Al limite un orso delle caverne o un leone troppo cresciuto. Sempre che non preferiamo riportare alla vita qualche cugino nano vestito di pelli che, con i tempi che corrono, probabilmente riuscirebbe anche a laurearsi e trovare un posto di lavoro.
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Ma di fronte al muro imposto dalla scienza, possiamo trovare sollievo nella morale. Vorremmo davvero portare sulla terra un tirannosauro per vederlo perennemente raffreddato? La terra era 3-5 °C più calda all’equatore e 20-60 °C più calda ai poli durante il Giurassico, la nostra cara bestiola morirebbe di freddo in breve tempo, che fosse o meno omeoterma. Nel caso non lo fosse, quel breve lasso di vita lo trascorrerebbe trascinandosi stancamente sulle zampe, priva di energia. E se anche sviluppassimo dei piumini oversized a manica corta, altri fattori metterebbero a rischio l’esistenza della nostra creazione. Durante il Cretaceo infatti, l’ossigeno contenuto nell’aria era stimabile attorno al 32% contro il 21% attuale. Il che costringerebbe il povero tirannosauro a portarsi dietro una bombola d’ossigeno (o nitrox per immersioni al 32% di ossigeno) aggiuntiva che, data la taglia, equivarrebbe probabilmente un serbatoio da 500 litri. Come ultima questione, non abbiamo assolutamente idea di che ruolo giocherebbero 65 milioni di anni di evoluzione di virus e batteri nei confronti del nostro bestione, sebbene sia certo che non disporrebbe del sistema immunitario adeguato a sopravvivere nel mondo moderno senza un’adeguata serie di “vaccinazioni”.
A conti fatti quindi, invece di un predatore carnivoro di devastante potenza, ci troveremmo un pensionato di 6 tonnellate, instabile sulle gambe, freddoloso, perennemente ammalato che si trascina stancamente dietro una bombola per vivere.
Però Michael Bay, se ci stai leggendo sappi che il tuo tirannosauro meccanico sarà sempre solo una scelta di ripiego: la gente lo guarderà, certo, ma mentre lo guarderà continuerà a pensare alla versione targata 1993.
Testi di Elia Martin

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Commenti

  1. Credo che per ossigeno e calore si possa risolvere creando un ambiente protetto con le condizioni adatte. Il vero problema è ovviamente quello del dna…

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