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Intervista a Simone Tagliaferri di Dreampainters

Noi di Orgoglio Nerd siamo riusciti a fare qualche domanda a Simone Tagliaferri, game designer di Dreampainters, un giovane gruppo italiano di sviluppatori che hanno recentemente pubblicato la loro ultima fatica: Anna.
Ci teniamo a sottolineare il fatto che sono Italiani, dato che il binomio videogiochi e italicità attualmente è merce più unica che rara.
O.N.: Ciao! Iniziamo a presentare la Dreampainters. Chi siete, quanti siete, da dove venite e quali sono i vostri ruoli? 

Simone Tagliaferri: Non ti posso dire con precisione quanti siamo perché Dreampainters è un gruppo in crescita. Anna è stato sviluppato sostanzialmente da tre persone: un game designer, un grafico e un programmatore, più l’apporto straordinario di Alessandro Monopoli alla colonna sonora. Per il prossimo progetto, Sine Requie, a cui accenneremo brevemente dopo, siamo già più del doppio.
O.N.: Come e quando è nata la Dreampainters?

Simone: Dreampainters nasce sul forum di arsludica.org. In realtà tutto nasce dall’idea del nostro primo videogioco, Anna, voluto da Alessandro, quindi ci siamo formati come gruppo per seguire le varie fasi di sviluppo. Diciamo che Dreampainters nasce nel 2011 e ha diverse fasi di attività: dal giugno all’agosto del 2011 è stato stilato il design di Anna, che poi è stato effettivamente sviluppato dall’inizio del 2012 fino a praticamente… ora.
O.N.: Quali e quante difficoltà avete incontrato durante il cammino per arrivare dove siete ora?

Simone: Difficoltà particolari non ne abbiamo avute in senso stretto, visto che il gruppo si è dimostrato affiatato sin da subito e non siamo dei giovani ribelli, ossia dei cialtroni. Ci sono stati dei momenti divertenti in fase di bugfix, tipo il mitico ultimo bug segnalatoci dai tester che ci ha fatto impazzire poco prima della chiusura del gioco, oppure quello della sezione di fiume raccoglibile (è molto comodo da portare in tasca, anche se un po’ umido), ma per il resto non mi sembra che sia morto nessuno e il mio gatto è sempre bello rubicondo.
O.N.: Che consigli vi sentite di dare a giovani che vogliono lanciarsi in questo campo? E non dite "nessuno" solo per non avere concorrenza.

Simone: Mi piace dire che una delle fasi più importanti di un progetto è la sua pianificazione, ossia la capacità di capire se le idee che si vorrebbero realizzare sono effettivamente fattibili con le risorse a disposizione. È inutile scrivere una splendida scena di sesso tra Angelina Jolie e un ornitorinco se si ha la possibilità di pagare solo l’ornitorinco, così com’è inutile pensare a sviluppare un concorrente di God of War se non si ha un grosso team di professionisti a disposizione e un budget miliardario da spendere. Inoltre sarebbe il caso di non fossilizzarsi troppo su certi miti ed essere il più liquidi possibili in quello che si sta facendo. Spesso non è detto che la prima idea sia la migliore e, soprattutto, spesso una buona idea va scartata e bisogna essere pronti a sostituirla con qualcosa di altrettanto valido, senza farsi prendere da crisi di nervi o dallo scoramento.

O.N.: Come vedete la scena videoludica italiana? E come la vedete da qui a dieci anni?

Simone: Sicuramente gli ultimi mesi hanno visto l’aumentare dell’offerta dei videogiochi made in Italy, anche grazie alla grossa crisi dei tripla A che ha riaperto la strada a progetti con valori produttivi meno elevati. Purtroppo in questo momento ciò che manca a moltissime realtà italiane è la capacità di valutare e dare la giusta importanza al fattore marketing. Mi sono occupato personalmente della promozione di Anna. Credo di aver ottenuto buoni risultati in tal senso (perdonate l’immodestia) e posso affermare con certezza, sperando di non essere frainteso, che è inutile sviluppare il miglior videogioco del mondo se nessuno lo conosce. Nell’ultimo anno mi è capitato due volte di trovarmi a giocare con dei videogiochi italiani senza sapere che fossero stati sviluppati nel nostro Paese e, soprattutto, senza averli mai sentiti nominare prima dell’acquisto (sì, sono uno di quei videogiocatori curiosi che ama provare anche cose che non conosce, soprattutto se di generi affini ai miei gusti). 
O.N.: Secondo voi perché in Italia esistono pochissime realtà di sviluppatori di videogiochi?

Simone: Un po’ è una questione di strutturazione delle aziende, con lo stato italiano che oltre a non incentivarle fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote, ma in larga parte credo che dipenda dalla cronica capacità nazionale dello spreco di risorse. Ci sono decine di piccoli sviluppatori che si perdono in progetti utopici e giganteschi che non riusciranno mai a sviluppare da soli, mentre altri tendono a isolarsi completamente e a morire in se stessi. Spesso basterebbe un po’ di buona volontà per unire le forze, tanto se devi lavorare gratis per un progetto con poche probabilità di successo, perché non lo fai insieme a qualcun altro per provare a realizzare qualcosa di più ambizioso? Comunque si tratta di un discorso molto complesso che va a toccare parecchi nervi scoperti. Riassumiamolo con disorganizzazione cronica dovuta all’italica indolenza” e buttiamo giù una birra per guardare avanti.
O.N.: Parliamo un po' dell'ultimo vostro lavoro. Come e quando è stato concepito Anna? A cosa vi siete ispirati per la trama?

Simone: La trama nasce dal luogo. L’idea iniziale è stata di Alessandro, che voleva realizzare un’avventura horror classica in quella segheria in particolare. Da questo punto di vista ci ha colpito il continuo confronto con Amnesia dei Frictional Games, da cui abbiamo provato a staccarci, dicendo in continuazione che il nostro gioco era completamente diverso, senza riuscirci. Ormai la critica aveva deciso che doveva paragonare Anna a quello, quando noi avevamo sin dall’inizio parlato di un sistema adventure più classico. Paradossalmente nessuno ha citato i giochi che più ci hanno ispirato in fase di sviluppo e a cui abbiamo accennato in diverse interviste, ossia i Darkness Within (soprattutto il primo) e Weird Dreams. Comunque torniamo al gioco. Dalla scelta della location a scoprire che il posto era stato teatro di alcuni fatti di sangue il passo è stato breve. Quindi abbiamo studiato un po’ di leggende locali e alcuni libri di demologia per dare allo spirito un tocco “storico”. Infine è arrivato il sistema di enigmi, volutamente difficili e legati da un filo che segue lo stato mentale del protagonista e una specie di grosso rito che si conclude nell’ultima sezione del gioco. 
O.N.: Giusto per curiosità, perché avete scelto il nome Anna? Si riferisce a qualcuno in particolare?

Simone: Il nome Anna è un nome che in qualche modo ispira “luminosità” e per questo funzionava nell’intricato contesto del gioco. È poi anche una piccola dedica di Alessandro alla sua ragazza.
O.N.: Chi ha avuto l'idea di ambientarlo in Italia, specialmente in Val d'Aosta? Perché avete scelto questa location?

Simone: La Valle d’Aosta è stata proposta da Alessandro poiché disponeva di un'enorme quantità di fotografie e informazioni esaustive e di grande ispirazione. La location è stata scelta perché crea un’atmosfera davvero particolare, riuscendo a far venire i brividi anche con il sole battente.
O.N.: Avete qualche altro lavoro in cantiere?

Simone: Attualmente stiamo lavorando alla trasposizione videoludica del gioco di ruolo cartaceo Sine Requie. Sarà un gioco di ruolo ambientato in Italia. Per ora però, non possiamo dire di più, ma aspettate il prossimo Lucca Comics per maggiori informazioni.
O.N.: Siete videogiocatori accaniti o non portate il lavoro a casa?

Simone: Videogioco da quando avevo sei anni, ora ne ho trentaquattro. Ho iniziato con una console dell’Atari su cui girava solo Pong. Attualmente sono anche redattore di Multiplayer.it. Insomma, è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
O.N.: Ultima domanda di rito. Nella remota possibilità, quale super-potere vorreste avere?

Simone: Facile, spegnere incendi con i peti. 
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