Cultura e Società

44 anni fa l’omicidio di Aldo Moro, cosa successe nei 55 giorni di prigionia?

Ecco cosa successe nei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, prima dell'omicidio che più di tutti ha segnato la storia politica italiana

È il 16 marzo 1978, a Roma sono le 08:45 e quattro membri delle Brigate Rosse travesti da funzionari di Alitalia si sono appena nascosti dietro ai cespugli dell’incrocio tra via Fani e via Stresa.
Altri membri del commando invece si trovano a bordo di tre auto parcheggiate lungo la strada e sono pronti ad entrare in azione.
Di lì a poco in quella strada dovrebbe passare Aldo Moro, già cinque volte Presidente del Consiglio e attuale presidente del partito Democrazia Cristiana.

Poco dopo le 09:00 l’auto di Moro, una Fiat 130 e un’Alfetta della scorta si trovano intrappolate proprio in via Fani. I membri del nucleo armato brigatista aprono il fuoco da distanza ravvicinata contro le due auto. A trovare la morte sono gli agenti della scorta di Moro, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Del presidente invece nessuna traccia.

l'agguato e l'uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro
l’agguato e l’uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro
l'agguato e l'uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro
l’agguato e l’uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro
l'agguato e l'uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro
l’agguato e l’uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro

Dopo la fuga con le tre auto, il commando poco lontano abbandona i mezzi e si divide. Alcuni membri decidono di raggiungere in autobus la stazione di Termini e dirigersi a Milano, altri invece, a bordo di un furgone, trasportano Aldo Moro dentro una cassa in un luogo segreto.

L’operazione “Fritz” era riuscita.
Il nome derivava dalla frezza bianca che il presidente della DC aveva in testa.
Un’azione mirata e ben studiata, doveva essere fulminea, non doveva durare più di 3 minuti.

Scatta l’allarme, Roma viene circondata con posti di blocco ovunque e le auto dei sequestratori vengono ritrovate subito dopo, alle 09.20 circa, non lontane dal luogo del rapimento.

Alle 10:10 l’ANSA batte la notizia del rapimento di Moro e della strage della sua scorta.
I giornali escono con l’edizione straordinaria.
Anche La Repubblica, che la stessa mattina del 16 marzo aveva puntato il dito contro Moro accusandolo di essere coinvolto nello scandalo Lockheed, esce con l’edizione straordinaria condannando la ferocia delle BR ed il sequestro del presidente.

Manifestazioni e scioperi coinvolgono i cittadini in tutto il territorio nazionale. Dagli studenti agli operai, l’Italia si ferma, è un grido unito contro il terrorismo.

Il Messaggero sul sequestro di Aldo Moro
Il Messaggero sul sequestro Moro
La Repubblica sul sequestro di Aldo Moro
La Repubblica sul sequestro Moro
L'Unità sul sequestro di Aldo Moro
L’Unità sul sequestro Moro


Alle 10:45 il Ministro degli Interni Francesco Cossiga istituisce un comitato per la gestione della crisi e un’ora e mezza più tardi, le schede segnaletiche di 16 presunti sequestratori vengono rese pubbliche.

Il giorno seguente, il 17 marzo, la Camera ed il Senato votano la fiducia al nuovo governo formato proprio dalla DC, con il sostegno del PCI. In questo nuovo governo, Aldo Moro che ricopriva il ruolo di segretario della DC e già 5 volte premier, avrebbe dovuto avere un ruolo chiave, ma dopo il sequestro il nuovo governo fu guidato da Giulio Andreotti.

Intanto le Brigate Rosse rivendicano il sequestro del presidente, ma senza esprimere richieste particolari o ricatti.

manifestazioni dopo il sequestro di Aldo Moro
manifestazioni dopo il sequestro di Aldo Moro

manifestazioni dopo il sequestro di Aldo Moro
manifestazioni dopo il sequestro di Aldo Moro



Eppure tutti si aspettano un’unica richiesta dalle Brigate Rosse, ovvero uno scambio di detenuti, da una parte il rilascio di Moro, dall’altra quello di Renato Curcio e altri detenuti vicini alle BR.

Il 18 marzo l’Italia si ferma per celebrare il funerale dei membri della scorta di Moro, mentre al Messaggero una telefonata delle BR indica il luogo dove sarà rinvenuta una busta con dentro il comunicato e una foto istantanea che mostra Aldo Moro detenuto delle Brigate Rosse.

Il terzo giorno dopo il sequestro, la foto di Moro con alle sue spalle la scritta Brigate Rosse e la stella che la contraddistingue trova eco in tutti i giornali nazionali ed internazionali.
Insieme alla foto, diventata simbolo del sequestro Moro negli anni, viene pubblicato anche il comunicato n.1, in cui le Brigate Rosse annunciano che Aldo Moro sarà processato da parte di “un tribunale del popolo”.

Aldo Moro ostaggio delle BR
Aldo Moro ostaggio delle BR

Il 20 marzo, nella capitale giunge un team di 32 poliziotti tedeschi pronti ad indagare sul caso Moro, tedeschi che saranno affiancati nei giorni seguenti da esperti israeliani e inglesi. Tutti gli occhi del Mondo sono rivolti verso l’Italia.

Il 21 marzo il nuovo governo Andreotti, che si è dato come obiettivo quello di salvare il presidente Moro, vara nuove leggi di emergenza per fronteggiare il fenomeno terroristico.
Si tratta di un cambiamento drastico, per le intercettazioni telefoniche ad esempio basterà l’autorizzazione orale del magistrato. Viene istituito il fermo di identificazione oltre all’arresto provvisorio per chi è sospettato di preparare delitti. Inoltre, l’interrogatorio in questura può essere effettuato anche senza la presenza dell’avvocato difensore.

Il 22 marzo in edicola i giornali trattano soltanto l’introduzione delle nuove leggi di emergenza, alcuni giornali non vanno per il sottile, ma il governo ed in particolar modo il partito di maggioranza DC evitano ogni iniziativa che blocchi la libertà di stampa.
I quattro giorni a seguire sono giorni di stallo, le indagini sono ad un punto morto, mentre esponenti politici e partiti accendono i toni con i loro comunicati stampa.

Il 26 e 27 marzo con il comunicato n. 2 le Brigate Rosse annunciano agli italiani l’inizio del processo al presidente Aldo Moro, un imputato senza difesa.

Il 30 marzo le BR annunciano una lettera firmata da Aldo Moro e rivolta a Francesco Cossiga.
Nella lettera Moro invita il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica a «riflettere opportunamente sul da farsi per evitare guai peggiori».

Il 31 marzo tutti i giornali italiani riportano in prima pagina il NO secco del Governo e della DC a trattare con i sequestratori delle BR, ritenuti terroristi.
Il Corriere della sera: «La risposta della Dc: non è possibile accettare il ricatto delle Br»;
La Stampa: «Non si può accettare il ricatto delle Br»; 
L’Unità: «La Repubblica non può cedere al terrorismo. I partiti democratici respingono il ricatto e le minacce delle Br»; 
Il Giornale: «La Dc non tratta con le Br»; 
Il Giorno: «Con le Br non si tratta»; 
La Repubblica: «Non si tratta con le Br. Tutti i partiti sono d’accordo nel rifiutare qualunque tipo di scambio coi terroristi»; 
Il Messaggero: «La Dc decide di rifiutare il ricatto delle Br: lo Stato non può cedere»; 
II Tempo: «La Dc respinge il ricatto delle Br».

La Repubblica sul sequestro Moro
La Repubblica sul sequestro Moro


Nei giorni a seguire lo scontro con il PCI diventa sempre più acceso, con scambi continui di battute e accuse per mezzo stampa.

Il 3 aprile Papa Paolo VI rivolge un appello ai rapitori, affinché liberino al più presto il presidente della DC, mentre il 4 aprile Andreotti rafforza il fronte delle non-trattative con le BR escludendo addirittura le opportunità di affrontare dibattiti pubblici sul caso Moro.

Intano il 5 aprile in una seconda lettera firmata da Aldo Moro si legge: «Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile. Il tempo corre veloce e non ce n’è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi».

Nulla da fare, il mondo della politica rimane fermo sulla sua posizione. Il premier Andreotti alla Camera dichiara che «Non si può patteggiare con gente che ha le mani grondanti di sangue». Anche il partito del presidente Moro, Democrazia Cristiana, rimane ferma nelle sue decisioni. Dalle pagine de Il Corriere della Sera, la DC spiega le sue decisioni così: «L’atteggiamento è stato concordato, dai leader del partito, con la morte nel cuore».

La Repubblica sul sequestro Moro
La Repubblica sul sequestro Moro


In molti credono che le lettere non siano state scritte da Moro, uno tra tutto Indro Montanelli.
Sulle pagine del suo quotidiano Il Giornale, Montanelli decide di non commentare le lettere di Moro, proprio perché secondo lui non sono farina del suo sacco.

Nei giorni a seguire la famiglia di Moro tenta di mettersi in segreto in contatto con i membri delle Brigate Rosse, le azioni delle quali diventano sempre più violente, decine di attentati ed una guardia carceraria uccisa a Torino.

Il 16 aprile il comunicato n. 6 delle BR, quello che dichiara la fine del processo ad Aldo Moro e la sua condanna a morte.

In questo preciso momento tutti capiscono che la situazione è critica, il rischio è talmente elevato, da spingere il 17 aprile la DC a fare un appello per salvare la vita del suo presidente. Un appello che non viene rivolto direttamente alle BR, il governo non può mostrarsi debole ed aperto a trattative con i terroristi.

Il 19 aprile un messaggio delle BR riferisce della morte del presidente Aldo Moro e dove trovare la sua salma, ma sono gli stessi avvocati delle Brigate Rosse a mettere in discussione la veridicità e smentire quanto scritto a nome delle BR.

Nonostante la smentita degli avvocati delle BR, il 20 aprile tutti i quotidiani nazionali riportano le ricerche del corpo di Aldo Moro nel lago della Duchessa, come indicato nel falso comunicato n. 7.

Il vero comunicato n.7 non tarda ad arrivare. Il 21 aprile le BR accusano Andreotti di aver messo in atto la pubblicazione del finto messaggio a loro nome e accompagnano le loro dichiarazioni con una foto di Aldo Moro con in mano una copia del quotidiano La Repubblica del 19 aprile per far vedere lo stato di salute del presidente.

Aldo Moro conferma di essere vivo (foto editata con i colori di allora)
Aldo Moro conferma di essere vivo (foto editata con i colori di allora)

Il Papa si mobilita e il 22 aprile scrive una lettera indirizzata alle BR, in cui li “supplica in ginocchio” affinché si arrivi ad una liberazione incondizionata di Moro, le Brigate Rosse il 25 aprile, per la Festa della Liberazione, presentano il comunicato n. 8.


In quest’ultimo comunicato le BR chiedono la scarcerazione di 13 detenuti in cambio della vita di Moro. Insieme alle richieste c’è l’ennesima lettera di Aldo Moro, che sembra essere anche il suo testamento e dove il presidente afferma di non volere ai suoi funerali né le autorità e né gli uomini di partito.

La Repubblica sul sequestro Moro
La Repubblica sul sequestro Moro

L’immobilismo dei partiti continua e molti accusano la Democrazia Cristiana di aver dimenticato il proprio presidente nel braccio della morte. Anche la famiglia Moro muove dure accuse al partito del presidente, ma inutilmente, nulla cambia la posizione della DC.

L’unico che non smette di battersi per trovare una soluzione e per la liberazione di Aldo Moro pare essere il suo “nemico politico” Bettino Craxi. Proprio a Craxi il 30 aprile il presidente della DC indirizza la sua ennesima lettera dove si legge: «Guai, caro Craxi, se la tua iniziativa fallisse».

La Repubblica sul sequestro Moro
La Repubblica sul sequestro Moro


Niente da fare.
Niente pare possa portare alla liberazione del presidente Moro, condannato a morte.

Nella cosiddetta “prigione del popolo” situata in via Montalcini 8 a Roma, Aldo Moro, scaltro e lucido, sa di essere giunto alle sue ultime ore di vita.
Siede su di una brandina in quella che per due mesi circa è stata la sua cella. Alle sue spalle uno stendardo delle Brigate Rosse di color rosso e con le lettere scritte in giallo, di fronte un piccolo gabinetto chimico da campeggio.

Alle sue richieste di ricevere i quotidiani le BR avevano risposto in maniera negativa, facendolo sentire ancora più solo e fuori dal Mondo, da quel Mondo che era abituato ad osservare ed analizzare attentamente.

La freddezza e la lucidità del presidente Moro si rispecchia nelle foto pubblicate dalle BR e nelle lettere da egli scritte.

L’ultimo comunicato, il n. 9, viene condiviso dalle BR il 6 maggio e recita così: «Concludiamo la battaglia eseguendo la sentenza a cui Moro è stato condannato».

Comincia un assordante silenzio.
Nessuno parla più.
Il mondo politico smette di parlare di trattative o non trattative, anche i media non scrivono più. Tutti sono in attesa di capire qualcosa di più, tutti attendono altre dichiarazioni dalle BR.

Il giorno dell’esecuzione di Aldo Moro ed il ritrovamento del corpo

È Il 9 maggio del 1978, è l’alba del 55 esimo giorno di prigionia, Aldo Moro viene fatto alzare dal letto intorno alle 06:00 con la scusa di essere trasferito in un altro nascondiglio.
Tra le ore 09:00 e le 10:00, il presidente viene fatto entrare in un cesto di vimini e viene portato nel garage della palazzina dove si trovava l’appartamento prigione.Nel garage Aldo Moro viene fatto uscire dalla cesta e fatto entrare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Una volta dentro il bagagliaio, il presidente viene coperto con una coperta rossa, dopodiché viene freddato con dei colpi a distanza ravvicinata.   

La Renault rossa viene portata fuori dal garage e parcheggiata in via Caetani, a poca distanza sia dal Partito Comunista Italiano che dal partito di Moro, Democrazia Cristiana.

Alle 12:30 i brigatisti telefonano al professor Francesco Tritto, assistente di Aldo Moro, per comunicare il luogo dove è parcheggiata l’auto con il corpo del defunto Aldo Moro.

Il resto sono le immagini note alla cronaca.

Il cadavere di Aldo Moro rinvenuto nella Renault 4 rossa
Il cadavere di Aldo Moro rinvenuto nella Renault 4 rossa
Il cadavere di Aldo Moro rinvenuto nella Renault 4 rossa
Il cadavere di Aldo Moro rinvenuto nella Renault 4 rossa

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Arber Agalliu

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