Il robot selvaggio è uno di quei film che arrivano piano piano. Non è parte di una grande IP, non è un sequel, non è coltivato con una lunga attesa tra gli appassionati, se non le nicchie più ridotte degli amanti dell’animazione. Arriva e con tutta la compostezza del mondo ci racconta una storia emozionante, originale, divertente, commovente, sognatrice e leggera. E noi rimaniamo così, con gli occhi luminosi (e anche un bel po’ lucidi), ad alzarci dalle poltroncine con una felicità nuova e imprevista. Vediamo bene perché con questa recensione de Il robot selvaggio.
Il robot selvaggio, di cosa parla il nuovo film DreamWorks?
Durante una tempesta il carico di una nave della Universal Dynamics finisce su un’isola disabitata. Da una delle casse emerge ROZZOM 7134, alias Roz. Si tratta di un robot multifunzione programmato per fornire assistenza e portare a termine i propri compiti. Ma cosa succede quando non ci sono compiti, quando sei in un posto dove nessuno capisce ciò che dici, quando sei a km e km dall’umanità?
Ma Roz non si perde d’animo e cerca di adattarsi, provando anche a trovare un modo per tornare a casa. Nella sua avventura entrerà in contatto con una grande comunità di animali che vivono sull’isola e per una serie di eventi, troverà un compito da portare a termine: quello di allevare il piccolo Beccolustro, insegnandogli a camminare, a nuotare e volare fino a migrare quando sarà il momento.
Quello che colpisce de Il robot selvaggio, soprattutto nella sua fase iniziale, è la bellezza del tratto negli ambienti che vediamo a schermo. La gran parte dell’inizio è un viaggio in questo mondo incontaminato (elemento che sarà importante nella storia, ma non vi spieghiamo ora perché) è quasi completamente muta. I tentativi di entrare in contatto con il mondo di Roz sono respinti, sia per una ovvia barriera linguistica con gli animali, sia per una esplicita diffidenza di questi ultimi verso questa inquietante novità.
È un incipit che agli amanti dell’animazione non può non ricordare WALL•E, con quella prima lunghissima parte “muta”. Sarebbe stato estremamente affascinante e coraggioso procedere per tutto il film in questo modo, ma non è quello che richiedeva questa storia. Allo stesso tempo però è fondamentale spendere così tanto tempo in questo mondo ostile a Roz, per riuscire davvero a empatizzare con questa macchina rimasta sola, senza uno scopo.
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La battaglia per il titolo di creativi
Il robot selvaggio è un film DreamWorks che arriva nel trentesimo anniversario dello studio. Era il 1994 quando iniziava l’avventura di questo nuovo player, nato esplicitamente in opposizione alla corazzata Disney, che negli stessi anni avrebbe allargato il proprio dominio nell’animazione avviando la partnership con Pixar. E da allora sono sempre stati due poli opposti, una delle grandi rivalità del settore.
Ed è interessante come questi poli – sotto alcuni punti di vista – si stiano spostando. Negli anni 2000 infatti DreamWorks ha portato avanti un approccio basato sullo sfruttare il più possibile le proprie IP, creando lunghi franchise come Madagascar, Dragon Trainer, Kung Fu Panda e ovviamente Shrek. Viceversa Pixar puntava più sull’innovazione, sulla creatività, sia a livello narrativo che tecnico.
Questo paradigma sembra che si stia piano piano spostando. Complice anche il fatto che il panorama dell’animazione si è decisamente allargato con tantissimi nuovi player in gioco, guardando al recente periodo sembra che DreamWorks stia lavorando molto di più sul nuovo (anche paradossalmente quando quel nuovo ha radici nel già collaudato) mentre Pixar rimane legata ai propri brand già solidi.
Ed è significativo quindi che questo trentesimo anniversario sia segnato dal lancio de Il robot selvaggio, mentre la “concorrenza” punta non solo su un sequel, ma un sequel che in molti hanno percepito come un more of the same. E chissà che l’ottimo riscontro che il film di Roz sta ottenendo non possa spingere DreamWorks a continuare a puntare su nuove IP o comunque nuovi approcci.
La novità de Il robot selvaggio non è una rivoluzione ed è bene così
Sia chiaro, non siamo davanti a qualcosa che cambia completamente l’universo dell’animazione. È un’opera che tenta un nuovo bilanciamento tra il disegno e la grafica tridimensionale, aprendo nuovi percorsi in una strada più volte esplorata negli anni. E lo stesso vale per la narrazione, con una storia (tratta da un omonimo libro per bambini edito in Italia da Salani) che i più cresciuti riusciranno a grandi linee a prevedere.
Ma il punto è proprio quello. Non è sempre possibile reinventare la ruota, ma è sempre possibile piegare la formula per ottenere qualcosa di sufficientemente nuovo e creativo da renderlo interessante. Soprattutto se riesci a farlo bene come Il robot selvaggio.
La sua originalità è sottile, ma importante. La scelta di raccontare la Natura in una maniera che è sì fiabesca e fanciullesca, ma che non nega gli aspetti più crudi. Il fatto di parlare apertamente di morte, con una chiarezza che non si vedeva dai tempi di Bambi o Il re leone. La decisione di toccare il tema della maternità come scopo nella vita senza cadere in una retorica uscita direttamente degli anni ’30 oppure il vuoto esistenziale quando si perde il proprio posto nel mondo.
Tutte queste sono ragioni per cui Il robot selvaggio è un film davvero eccezionale e imperdibile, per qualsiasi fascia d’età. Questo e il fatto che piangerete tutte le lacrime che avete. Un altro territorio tipicamente Pixar dove DreamWorks si sta evidentemente facendo largo.
- Brown, Peter (Autore)