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Il Corriere della Sera andava troppo di fretta

Io non sono il Corriere della Sera. Una frase abbastanza ovvia e vera anche prima di oggi a meno che, beh , tu non sia il Corriere. Cosa è successo? Dopo la tragedia di Charlie Hebdo (noi abbiamo detto la nostra qui), come sempre, sono arrivati quelli che gridavano al complotto, chi diceva che era solo tutto falso, chi ha cominciato a vendere maglie con #jesuischarlie. È successo di tutto.
Ma che è accaduto in Italia? Il Corriere della Sera ha stampato, in fretta e furia, un volume alla modica cifra di cinque euro (e poco meno) intitolato “Matite in difesa della Libertà”, una raccolta di vignette di artisti esordienti e professionisti a favore di Charlie Hebdo, il ricavato della vendita del volume andrà in beneficenza, ma non è questo il punto.
Già: perché artisti come Roberto Recchioni, Leo Ortolani o Giacomo Bevilacqua si sono ritrovati stampati a bassa risoluzione, impaginati male e coinvolti in un progetto del quale non sapevano nulla.
Le singole intenzioni di ogni autore sono state ignorate, il Corriere si è limitato a razziare Facebook e a stampare al volo.
L'ira degli artisti, grandi e piccini, è alta. Molti, anche lo stesso Ortolani, hanno preteso (a nostro avviso giustamente) delle scuse formali da parte del Corriere della Sera in particolare dopo i suoi comunicati ufficiali, vi riportiamo due brevi estratti:   
"In redazione abbiamo discusso a lungo se pubblicare o meno alcune delle vignette che avevano destato la collera degli integralisti. Abbiamo deciso per il no perché, pur essendo convinti che tra le libertà fondamentali ci sia quello di esprimere liberamente qualunque pensiero, anche quelli blasfemi, siamo altrettanto convinti che ci siano sensibilità che vanno rispettate.
Non pubblichiamo vignette che siano blasfeme per i musulmani come non ne pubblichiamo che siano blasfeme per i cristiani e per il mondo ebraico. Quindi il libro contiene alcune vignette di Charlie Hebdo , ma non quelle considerate più offensive." 
E già decidere di confezionare un'opera commemorativa a Charlie Hebdo e alla Libertà di Pensiero cominciando a “auto censurarsi” per non avere troppi guai non è una mossa saggia o per lo meno coerente con quello che si sta cercando di promulgare ma fosse stato solo questo il tutto si sarebbe potuto concludere con una scelta ma, dopo le polemiche, ecco ciò che viene detto:
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Post Scriptum (dopo le polemiche): Il ricavato di questa operazione, è bene ribadirlo, sarà devoluto interamente a favore delle vittime della strage e del giornale Charlie Hebdo. Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione. Comunque sul libro, in seconda pagina, c’è scritto con chiarezza che «l’editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire». 
Eravamo lì al ristorante, avevamo tutto quel cibo e lo abbiamo mangiato, non è colpa nostra se poi non è arrivato il cameriere con il conto, noi lo abbiamo aspettato per un po', poi siamo usciti senza pagare. La nostra parte l'abbiamo fatta.
Qualcuno avrà pensato così in redazione? Non importa, quello che ci chiediamo è quale è l'esempio che può dare un così grande giornale al suo pubblico e ai suoi lettori o a chi sta cercando di intraprendere una carriera nella comunicazione.
La responsabilità di avere una così grossa immagine pare sparita da tempo e ci è sembrato di vedere, non un insegnante, ma solo un grosso bullo che doveva mettersi in mostra, non importa a chi avrebbe dovuto rubare la merenda.
Ora ci saranno delle scuse formali?
Pare proprio di si, il direttore Ferruccio de Bortoli dichiara: “L’operazione è nata con le migliori intenzioni. È possibile che ci sia stata un po’ di confusione, siano stati commessi errori, qualcuno non sia stato consultato. Abbiamo raccolto i disegni in rete e poi abbiamo lavorato al volume. Se avessimo dovuto attendere oltre, l’iniziativa non avrebbe più avuto significato. Mi scuso comunque con quanti si siano sentiti a disagio, e tengo a dire che siamo a disposizione di tutti per riconoscere i diritti di autore”. (Wired.it)
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