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Il capanno di Ash: quando la solitudine non è una scelta | Recensione

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Alla domanda “Cosa stai cercando nella vita?” tutti daremo una risposta diversa. Chi vuole creare una famiglia classica, chi ricerca modelli non tradizionali, chi punta a una carriera di grande successo, chi ammira il downshifting, chi sogna la casa con il giardino, chi di viaggiare continuamente. Ma alla radice, tutte queste risposte non sono così diverse, perché sono tutte variazioni più specifiche della stessa cosa che tutti noi stiamo cercando: il nostro posto nel mondo. Il capanno di Ash, nuovo fumetto di Jen Wang, che BAO Publishing ha portato in Italia in questi giorni, parla proprio di questo, e in questa recensione andremo a scoprirlo.

Il capanno di Ash, la recensione: il ritorno al selvaggio

Ash ha quindici anni, è una persona che sta cercando di comprendere a pieno chi sia, come spesso succede a quell’età. Con i suoi genitori ha un rapporto complesso, c’è amore, ma anche una distanza, una contrapposizione, una incomunicabilità che diventa sempre più pressante. A scuola Ash non riesce a legare davvero, c’è sempre una barriera con i suoi compagni, che tiene lontani. L’unica connessione vera e potente che aveva era suo nonno. E come si intuisce dall’imperfetto, non c’è più.

Abitava in un ranch in California, che ogni anno ospitava tutta la famiglia allargata di Ash per le vacanze estive. Un posto felice, non tanto per la compagnia, quanto per la riconnessione con la natura. E il nonno periodicamente parlava di un posto ancora più isolato, un capanno che si era costruito nei boschi, completamente staccato dal mondo, dove sognava di fuggire. Ash ha “ereditato” quella vocazione e vuole mettere in atto un piano per trovare quel rifugio e restare lì, indipendente, con il mondo a distanza.

il capanno di ash recensione

Non è certo una storia semplice quella che ha cercato di raccontare Jen Wang. Non solo perché affronta dei temi complessi, ma perché non sceglie di eliminarne la complessità. Piuttosto si concentra proprio su di essa, rendendola pienamente parte della narrazione.

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Il rapporto tra Ash e la sua famiglia non è di antagonismo. Non c’è un padre padrone che impone la propria visione, una madre che disconosce chi ha generato. Da un lato narrativo, una storia tagliata così nettamente sarebbe stata più semplice da raccontare. Ma per quanto sia importante parlare di situazioni di questo tipo (che continuano a esistere, anche nel 2024) ci sono anche casi più sfumati. Dove c’è l’amore e la volontà di ascoltare, ma non è un processo immediato. Né semplice. E nemmeno scontato.

Condividere, ma con realismo

Approcciandoci a questa recensione de Il capanno di Ash, chi vi scrive si era ripromesso di astenersi da qualsiasi paragone con Into the Wild – Nelle terre selvagge, il film cult di Sean Penn sulla storia di Alexander Supertramp. Era un collegamento troppo ovvio, se non direttamente banale. Un po’ come paragonare qualsiasi space opera a Star Wars (fatta eccezione per i casi estremi). Però è indubbiamente il modo più efficace per spiegare il tono particolare con cui Wang racconta questa storia.

Se i vostri anni delle superiori coincidono più o meno con il 2007, anno di uscita del film di Penn, avete probabilmente vissuto direttamente o indirettamente il ciclo di fascino con questo film. Al suo debutto fu accolto come questo elogio del sogno, del ritorno alla natura, “anche io voglio fare come Supertramp“. Ma poi piano piano è emersa la storia vera dietro il romanzare e quanto il protagonista avesse sottovalutato alcuni aspetti del suo viaggio.

Wang riesce a trovare una chiave per farci entrare in empatia con Ash, senza celebrare la sua scelta. Certo, è impressionante scoprire come si prepari a questa avventura, la determinazione, la forza d’animo che mette nel suo progetto. Ma non perdiamo di vista l’altra faccia della medaglia: i rischi incredibili che corre, l’impossibilità di essere davvero preparata a tutto e più che mai l’impatto che questa scelta ha sulle altre persone.

Il finale (che non anticipiamo) è fondamentale in questo, nel soffiare su quella linea di demarcazione tra bianco e nero che sarebbe stato facile tracciare – e l’autrice ci fa vedere esattamente dove potrebbe essere – ma che non sempre è così nella realtà. E che quindi dà ancora più potenza alla storia.

Il capanno di Ash ci riporta alla ricerca del posto nel mondo

Arrivati alla conclusione de Il capanno di Ash (e della recensione) torniamo ancora una volta all’inizio. A quella domanda primordiale su cui riflettevamo in apertura, ma soprattutto alla risposta che accomuna tutti. Perché la cosa più importante che questo libro ci regala, che la storia di Ash ci regala è proprio quella consapevolezza, che la ricerca è costante ed è parte della vita di tutti.

Più che del rapporto con la natura, più che della voglia di fuggire, più che del riscaldamento globale è di questo che parla Il capanno di Ash: di come tutti, compreso chi da fuori potrebbe dare un’impressione differente, siamo alla ricerca del nostro posto nel mondo ed è una ricerca che non ha davvero una fine. Perché che tu sia un nomade moderno, un eremita dei boschi, una ragazza piena di amici o un padre di famiglia trovare un equilibrio è un’utopia a cui guardare ma improbabile da raggiungere. E solo da questa consapevolezza possiamo iniziare a superare l’incomunicabilità. E magari trovare un equilibrio davvero, anche senza che sia quell’equilibrio.

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Il capanno di Ash
  • Wang, Jen (Autore)

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