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Gotham: la fine di una serie senza Batman

Ogni serie tv ha una fine. Una regola che potrebbe essere inserita nelle certezze della vita, vicino alla morte e alle tasse. Tanto la serie tv sarà stata lunga (in stagioni), più il suo viaggio sarà ricordato più del finale. Perché si può aver pensato alla miglior fine possibile, ma se per arrivarci tiri a campare, boccheggi e annaspi a tratti, allora non passerà come una serie degna della sua idea originale. Ti sei perso per strada, o non conoscevi la via, non c’è molto da ragionarci su. Per Gotham, conclusasi lo scorso 25 aprile, il discorso è questo. Tralasciando l’incipit iniziale del 2014, “può una serie senza Batman fare bene?”, a cinque anni dall’inizio possiamo dare la risposta definitiva. Si giudica solo a lavoro finito, prima è solo una bieca illazione. Perché se il gusto è soggettivo, la riuscita di un prodotto è oggettiva.

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La discesa verso la fine inizia dalla parola “alcuni”

L’incipit originale, su cui avevamo già discusso alla fine della prima e della terza, ormai ha lasciato il tempo che ha trovato. Se pareri momentanei potevano fotografare uno spaccato del racconto, oggi che abbiamo il quadro completo possiamo dire che non è una serie di cui sentiremo la mancanza. E non parliamo soltanto perché l’ultima stagione ha avuto i rating di ascolti più bassi della serie. Parliamo perché di potenzialità, negli interpreti e nel concetto, ce n’erano in abbondanza. Gotham riesce a tratti e fallisce in toto. Perché alcuni storyline, alcuni personaggi e alcuni colpi di scena sono lodevoli, ma si perdono in una città affogata nell’opacità e nell’insulso. Il solo termine “alcuni” connota già questo articolo. Lode a chi è riuscito a ritagliarsi una prova recitativa meritevole, per il futuro sarà molto utile, ma gli altri hanno fatto il compitino da serial. Donal Logue, Robin Lord Taylor, Cory Michael Smith, John Doman e Cameron Monaghan portano a casa applausi dalla platea.

Gotham: un’aeronave piena di veleno

Da sottolineare però, che seppur il tono iniziale è piuttosto aggressivo, Gotham non ha fallito completamente. Non possiamo negare che archi di puntate ci abbiano tenuti lì, sul pezzo a sperare in minutaggio in più. Questo è un merito sia dei personaggi (certi villain trasudano carisma), sia della storia. Saper riadattare, distaccarsi da una canonicità troppo legante, è da ammirare e infatti non ci sarà nessuna critica della ragion pura del fumetto. Prendere un’idea su carta e portarla sul piccolo schermo (discorso che vale anche per il grande) sottintende coraggio e voglia di mettersi in gioco. Tra un’idea e l’altra, tra un arco riadattato a l’altro, però deve esserci un collante, una sequenzialità che possa legare effettivamente. Vivere di alti e bassi, non fa altro che gonfiare le speranze per poi bucarle. Un’areonave piena di veleno che vola sopra la città. Non si conduce così il dirigibile. Quando esploderà avvelenerà irrimediabilmente tutti i fan e ne decimerà molti (2.200.000 all’ultima puntata). I numeri sono implacabili.

Vince il singolo, non il totale

Gotham è questo: un’idea originale che vive di momenti. Momenti di attori in pompa magna che riescono a tirare la serie da soli; archi di puntate che affascinano, facendo dimenticare lo stantio che li precedeva; momenti di strizzate d’occhio ai fumetti. Momenti che non riescono a diventare veramente una stagione. Da consigliare non è la serie, ma alcune puntate (e lì lasciamo a gusti personali). Come un fumetto/personaggio che passa di mano in mano, da uno sceneggiatore ad un altro, senza tenere un filo conduttore che leghi gli archi narrativi, che leghi il suo significato. Piace a tratti, piace a numeri. Gotham è una serie finita, con una fine annunciata e già scritta dalla prima puntata. Ciò che lascia sono puntate degne di nota da ripescare nella libreria multimediale a nostra disposizione. Telecomando, scegli puntata e play. Si sceglie il singolo e non il totale. È questo il problema.

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