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Come nasce uno Scarabocchio di Maicol & Mirco?

Una chiacchierata con il loro autore sulla bellezza di non avere controllo sulle storie

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco sono una continua scoperta. Sono estremamente caratteristici, con un tratto semplice e iconico, quel rosso diventato oggi un simbolo e la loro mordacità, capace di toccare sempre un nervo scoperto. Ma nonostante tutto ciò che abbiamo imparato ad aspettarci da loro, continuano a regalare nuove sorprese. Così, in occasione della pubblicazione di Pfui, sesto volume della loro raccolta integrale, abbiamo voluto fare una chiacchierata con Maicol & Mirco, per scoprire di più sulla genesi di questi lavori.

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco: sintesi estrema

Di tutti i fattori che aiutano a identificare queste storie, quello che forse li riassume meglio è l’idea di sintesi. Come abbiamo poi approfondito insieme a Maicol & Mirco, gli Scarabocchi sono capaci di concentrare concetti potenti nel minore spazio (inteso non solo in senso fisico) possibile. E questo avviene sia a livello grafico, che testuale.

Bastano pochi tratti per identificare i personaggi di queste storie, rifacendosi a una simbologia precisa. Un approccio che in qualche modo ricorda l’infanzia, dove una stick figure più alta rappresentava un adulto, un cappello a tuba la ricchezza e un paio di occhiali l’intelligenza. Ma che in questo caso si eleva giocando sulle piccole sfumature affinate con l’esperienza e creando un universo intero nello spazio bianco rosso.

Una simile precisione si rivela nei testi. Dialoghi brevissimi, a volte aforismi, che non fanno troppi giri di parole e a volte sbattono in faccia con prepotenza verità difficili da digerire. Il tutto perfettamente sposato con le immagini (e la veste grafica) senza le quali non l’uno e l’altro non avrebbero la stessa potenza, capace di lasciarci a bocca aperta a ogni pagina.

In questo capitolo della raccolta completa (che naturalmente vale la pena recuperare interamente) troviamo poi alcuni dei migliori Scarabocchi di Maicol & Mirco di sempre. Di alcune abbiamo parlato direttamente nell’intervista, ma le altre ve le lasciamo scoprire nel volume. Sarà un percorso a volte impegnativo, ma straordinariamente intenso. Come è giusto che sia, dopotutto.

La nostra intervista con Maicol & Mirco

gli scarabocchi di maicol & mirco intervista 2022

Di seguito potete trovare la trascrizione della nostra intervista, in cui partendo dagli Scarabocchi di Maicol & Mirco ci siamo avventurati in riflessioni sul rapporto con l’arte, su come le storie abbiano una vita propria e quale sia il ruolo di un autore. Una chiacchierata affascinante, che già non vediamo l’ora di poter proseguire in una nuova occasione!

Partiamo con una domanda un po’ di rito: come nasce uno Scarabocchio di Maicol & Mirco? 

Nasce per caso, nel senso che non c’è una regola, gli Scarabocchi funzionano proprio perché non ho nessun tipo di schema. Altra cosa curiosa: combatto con la mia scrittura. Più passa il tempo, più ho il terrore e il piacere di non avere alcun controllo sulle storie, tanto che quando le disegno è come se i miei personaggi avessero vita propria. Ogni volta che cerco di stabilire una qualche progettualità, la narrazione non funziona, invece più mi lascio sorprendere, più la storia è efficace.

Possiamo chiamarla ispirazione (o un colpo di genio, per i più generosi), in realtà abdico il timone e lascio andare avanti i personaggi per conto loro. Non c’è un rito: caffè, sigaretta, musica… Nulla. Cambia tutto di volta in volta ed è l’unico modo, per me, per rendere giustizia alle storie. Il mondo degli Scarabocchi è un lavoro di pancia, molto istintivo. Però, nel tempo, questo magma anarcoide si è ben organizzato con leggi strutturate e precisissime: adesso, dopo vent’anni, fare uno Scarabocchio senza usare il rosso o senza mettere la parola “Fine” sarebbe impossibile.

ASUS Nvidia GeForce RTX 3060, Scheda Grafica, Nero, Full-Height/Full-Length (FH/FL)
  • Tecnologie Supportate: DLSS, Ray Tracing, NVIDIA Reflex, GeForce Experience e tutte le applicazioni NVIDIA Studio
  • Core & Clock: Boost Clock 1882 MHz, dimensione della memoria 12GB, tipo di memoria GDDR6, bus di memoria 192-bit, velocità di memoria 15 Gbps
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Non le ho pensate né come progetto né come stile, non sono nate come regole, ma lo sono diventate. Quindi non mi resta altro che assistere. Ecco, io faccio da notaio e prendo atto di queste storie che metto su carta.

Che bellissima definizione “Faccio da notaio“. Hai citato il fatto che metti la la parola “Fine” in ogni vignetta. È appunto sempre posizionata ma non è sempre uguale: a volte è scritta in un modo, a volte è spezzata, a volte è più in alto… C’è anche qui un ragionamento o è sempre istinto?

Negli Scarabocchi forma e contenuto sono fusi, tanto che si legano anche con il supporto o la cartotecnica: banalmente, stampandoli più grandi o più piccoli si percepisce la differenza narrativa. È impossibile separare lo scritto dal disegno o dalla forma del libro.

gli scarabocchi di maicol & mirco intervista 2022

Racconto così gli Scarabocchi: la parte scritta è disegnata e la parte disegnata è scritta. Il modo di scrivere dà il tono dei personaggi: si capisce se uno alza la voce dalle dimensioni delle parole, se parla più basso o più forte… A volte spezzare la parola, anche andando a capo in maniera non regolare, trasforma il linguaggio del personaggio. Significa disegnare le parole e segnare il carattere del dialogo.

Invece, i disegni sono scritti perché i personaggi sono esseri informi, come una calligrafia. Con un cappello a tuba diventano ricchi, con una pezza rettangolare diventano poveri. E poi c’è la parola “Fine”, diventata un gioco, che mette il punto e ritma le scenette: è la vera punteggiatura di queste strisce.

Quello che io vedo personalmente leggendo le tue storie e che le rende così interessanti è il fatto che concentrino un messaggio, un concetto in meno tratti possibili, che siano di disegno o di parole. Quanto nascono così e quanto invece c’è un lavoro di sottrazione successivo?

Io stesso da lettore non adoro il prolisso (anche se spesso mi tradisco perché amo certi scrittori pieni di parole e autori pieni di segni). In generale, penso però che soprattutto il fumetto debba scorrere liscio. Ho scoperto nella mia carriera da lettore che si possono dire cose complicatissime e profondissime in maniera molto semplice e non è vero che le cose profonde devono essere in libri difficili.

La sintesi è la cosa che più rappresenta questa scoperta, grafica e narrativa. Ricordo che Bukowski nel suo romanzo Hollywood, Hollywood! raccontasse che scrivendo per il cinema gli veniva detto che era tutto troppo lungo, così ha cominciato a togliere dialoghi su dialoghi e più li cancellava, più funzionavano.

Ma Bukowski aveva già uno stile asciutto, così sono rimasto colpitissimo da questo aneddoto. Personaggi quasi muti ma comunque troppo chiacchieroni! Però è così: mi piace leggere senza troppi intoppi, fra noi usiamo troppe parole. Ne vanno usate poche, ma chiaramente importanti.  

Io penso a una delle vignette che più mi ha colpito in questo nuovo volume per esempio: “Imparare a camminare è servito solo a morire più in là“. O anche questa, ancora di più: “Le armi si imbracciano sempre al contrario“.

gli scarabocchi di maicol & mirco intervista 2022

La seconda che hai citato non ha avuto per nulla successo online, a livello di volgarissimi like. Poi invece, una marea di lettori mi ha scritto per dirmi di essere rimasti colpiti quando l’hanno trovata nel libro. Ecco, come dicevo, come cambiano le cose a seconda del supporto, in questo caso dallo schermo alla carta. Con BAO sto pubblicando l’Opera Omnia per un motivo, dopotutto.

La fruizione viene modificata: un fumetto come volume è tempo speso, è diverso dallo schermo. Non è semplicemente perché sui social siamo distratti e presi da mille stimoli diversi: soffermarsi su uno Scarabocchio perché si trova in un’altra posizione, incasellato fra le pagine del volume in un flusso preciso, influisce sulla lettura. 

E poi sembra che sia io a inventare le storie degli Scarabocchi, solo perché non le conosco finché non le rappresento. Ma perché sono mie? Io non le direi mai in un discorso. I miei personaggi mi hanno fatto pensare e dire cose che non ho mai pensato e fatto. Sono cambiato con i miei personaggi. Anche per questo mi sembra strano quando ricevo complimenti: andrebbero fatti ai personaggi. 

Sei il primo lettore di te stesso, in pratica.

Sì, esatto. Io poi aborro il fatto di essere autore, nel senso che non mi importa. Può sembrare finta modestia, ma davvero è così, a me interessano solo le opere. Ad esempio, di Ballard – che è uno dei miei scrittori preferiti – ho letto tutto, anche le biografie, perché è un altro modo di trasmettere una storia che va oltre la semplice vita, di un autore mi interessano semmai i fallimenti, gli errori. Secondo me, le opere devono camminare sulle proprie gambe. Gli Scarabocchi sono così e io cerco di fruirne per primo. Applaudendoli, semmai.

Tornando sul concetto della scritta “Fine” che ti fa da punteggiatura, è una cosa che ho notato perché abitualmente io leggo gli Scarabocchi proprio nelle raccolte. È di solito uno dei primi libri che leggo, una volta tornato da Lucca. E avendole tutte in fila, avere questo strumento dà tantissimo questo ritmo.

È proprio così.

Un’ultima domanda, visto che stiamo parlando appunto di autorialità e Arte in senso più lato… C’è una frase che mi ha colpito molto dell’introduzione di Colapesce che dice “Se l’arte non dà fastidio, a cosa serve?“.

Sono d’accordissimo.

Questo vale sia in rapporto alla tua arte, sia a livello generale? 

In generale. Identifichiamo il fastidio come una cosa sgradevole, ma è più un sentimento di crescita. Durante le presentazioni mi capita spesso di citare una frase che avevo letto sugli espositori di Stampa Alternativa, ai tempi dei volumi in edizione Millelire: diceva, parafrasando, che i libri non devono curare né sanare le ferite, anzi devono provocarne di nuove (solo dopo scoprii che erano parole di Emil Cioran).

I libri devono essere pericolosi. Sono convinto che una lettura debba cambiarti, non deve necessariamente far soffrire, ma sicuramente deve avere un effetto. Anche se la scrittura è ottima, ma al termine non ha innescato un cambiamento, non è servita davvero a niente. Abbiamo troppo poco tempo per opere che non ci modifichino, preferisco essere insoddisfatto da un libro piuttosto che esserne appagato, perché non mi deve dare quello che già ho, altrimenti è una truffa.

gli scarabocchi di maicol & mirco intervista 2022

Sono un collezionista di storie imperfette, ad esempio amo tantissimi film girati involontariamente male che però mi hanno donato un’esperienza incredibile. Nell’errore, in ciò che viene male, c’è sempre un brivido inaspettato che in molte opere viene creato ad arte. La realtà è sconcertante anche quando è banale, figurati se devo trovarmi a leggere qualcosa che è meno sorprendente della realtà!

Di solito le storie che mi piacciono, lette a distanza di dieci anni, sembrano un altro racconto: un po’ sei cambiato tu, un po’ è cambiata la storia perché ha continuato a bollire e trasformarsi con i tempi, significa che è evocativa. Cercando questo da lettore, come fumettista replico lo stesso meccanismo. 

Anche perché poi sei il primo lettore di te stesso, no?

Forse è questo il mio metodo, in fondo. Quando leggevo fumetti da piccolo non sapevo nemmeno che ci fosse un autore dietro, non mi ponevo il problema. Mi ricordo perfettamente che quando usciva un numero di Spider-Man non c’era alcun giudizio se fosse una storia era bella o brutta, era semplicemente ciò che succedeva all’Uomo Ragno.

Invece, inevitabilmente iniziando a giocare a fare l’autore gli aspetti si separano, la china, i colori, i dialoghi… Con le mani nella storia, non ci si trova più di fronte a un un oggetto unico e così si perde la magia. Per mantenere quel mistero, io faccio così: non so come vanno a finire le mie storie. Cerco di non metterci lo zampino ed è ciò che in me ricrea la sorpresa. Se sapessi già come va a finire il libro alla terza pagina mi fermerei e non andrei avanti, a differenza di amici e colleghi fumettisti che per fare un libro sceneggiano, disegnano a matita e poi lo chinano, insomma lo progettano… io impazzirei.

In tutti i miei libri – anche nei graphic novel come Il Papà di Dio (BAO, 2017 ) o Gli Arcanoidi (Coconino, 2018) – la storia termina quando la terminano i miei personaggi. Anche se non sembra, non so mai prima come va a finire. Crederanno i lettori a tutto questo? Boh!

A questo punto non ci resta che ringraziare Maicol & Mirco per il tempo concessoci e BAO Publishing per il supporto. E voi, cosa ne pensate de Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco?

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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