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Gli anime e i manga di Stan Lee: Marvel e Square Enix

Non sono opere appena uscite, cosiddette "novità" ma vogliamo parlarne lo stesso perché sicuramente sicuramente non tutti saprete di che stiamo parlando. Non intendiamo però discutere degli esperimenti di trasposizione manga e anime dei personaggi Marvel, ne abbiamo visti molti negli ultimi mesi, perfino hentai, ma non si avvicinano all'ideologia promulgata dalle opere che andremo a trattare, non sono "nuove" creazioni, solo adattamenti. Perciò state pronti.

  Il confine tra “fumetto” e “manga”, per alcuni, è simile ad un muro di cemento. Quante volte avrete sentito dire da alcuni soggetti frasi come “Non chiamateli fumetti, sono manga!”, seguite talvolta da un elenco di (presunte) differenze tra i due? Se frequentate sufficientemente l’ambiente degli appassionati, immaginiamo tante. Ovviamente potete/dovete considerare il discorso anche riguardo al binomio “anime”e “cartone animato”. 

Perfino una nota testata ha, recentemente, voluto rimarcare la differenza tra quelli che sono i fumetti occidentali, “per bene”, e i manga, veicoli di violenza e depravazione. Ma non vogliamo concentrarci su questo, non ora.

Essendo fumetti e manga due cose diverse, molto diverse, troppo diverse, di certo mangaka e fumettisti non avranno nulla da dirsi, e non potranno intrattenere alcuna collaborazione di tipo lavorativo. Nello specifico, poniamo come esempio, Hiroyuki Takei (autore di Shaman King) e Stan Lee (che riteniamo non abbia bisogno di presentazioni) probabilmente non hanno nulla a che spartire. Giusto?
Beh, sbagliato. Ma come molti di voi avranno immaginato, questo esempio era solo un astuto (o forse no) stratagemma per dirvi che sì, Takei e Stan Lee hanno collaborato ad un’opera, il primo come ideatore e disegnatore, il secondo come sceneggiatore.
Il manga in questione si chiama ULTIMO, e ha debuttato nel 2008, arrivando in Italia tre anni dopo. La storia è incentrata sui Karakuri Doji, creature che incarnano in sé i concetti di “bene” e “male”, pur non comprendendoli,destinati a scontrarsi per stabilire quale delle due forze sia la più potente.

Sì, signori, un fumettista si è dedicato ad un manga. E non certo un fumettista qualsiasi: si tratta di Stan “The Man” Lee. Qualunque altra parola sarebbe superflua.
E vi diremo di più: non è la prima, né l’unica volta.
Lee ha anche interamente ideato e sceneggiato Heroman, anime illustrato daTamon Ohta (con lo stesso character design di Tengen Toppa Gurren Lagann) e pubblicato da Square Enix.
Qualcuno potrebbe pensare – come del resto avrebbe potuto per ULTIMO – che, vistala provenienza dello sceneggiatore, la trama possa ricalcare quello che è, se vogliamo, lo stereotipo del comic americano: una grande città, tanti cattivi che la mettono in subbuglio, un supereroe che interviene e vi ci azzuffa per riportare la pace.
Invece no. Non proprio.
Lee e Ohta sono riusciti a plasmare un prodotto che fonde sapientemente in sé elementi del fumetto classico americano ed elementi del fumetto classico giapponese (perché sì, cari i  nostri puritani e “giornalisti”: “manga”significa “fumetto”, e nient’altro).

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Joey Jones è un ragazzino americano che vive a Center City, cittadina di fantasia ispirata a Los Angeles. Un giorno, tornando a casa da scuola, trova un robottino giocattolo rotto. Decide di portarlo a casa e ripararlo, senza particolare successo. Tuttavia, durante un temporale il giocattolo viene colpito da un fulmine, trasformandosi in un robot gigante. Caso vuole che proprio dopo poco una razza aliena, gli Skrugg, decida di attaccare la Terra. Ovviamente difenderla toccherà a Joey e al suo robot, battezzato Heroman.
Dall’opera è stato anche tratto un anime, prodotto e distribuito dallo studio Bones.

Quello che vogliamo dirvi, con questo breve excursus sulla carriera “nipponica”di Stan Lee è (anche): non create barriere dove non ve ne sono.
Vi sembrerà scontato, ma evidentemente a qualcuno non è molto chiaro: è inutile e ben poco produttivo isolare due prodotti che differiscono solamente per lo stile, sulla base di preconcetti e luoghi comuni. Dall’unione di mentalità diverse e di stili diversi possono nascere grandi cose. O cose interessanti, se non altro.
Vi lasciamo con il pensiero espresso dallo stesso Stan Lee proprio a questo riguardo, durante il Comic-Con 2008, parlando del suo lavoro con Takei:
“[Noi occidentali] possiamo imparare molto dal modo di raccontare storie dei giapponesi, e loro possono imparare molto dal nostro. È stimolante lavorare con loro, e speriamo, in questo modo, di avvicinare un poco i concetti di comics e di manga. Speriamo solo di farcela senza rovinare entrambi!”.

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Francesca Menta

Nella vita legge fumetti, guarda cartoni e fa altre cose noiose e banali che non vale la pena menzionare. Allenatrice di Pokémon dal 1999. A quanto pare adesso recensisce anche videogiochi, coronando il sogno di una vita: poter gridare con fare oltraggiato "Lo sto facendo per LAVORO" ogni qualvolta viene trovata di fronte ad una console.

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Commenti

  1. L’anime di Heroman mi aveva colpito per la grafica, molto curata e pulita. Il resto lascia però molto a desiderare: è un’opera infantile, stereotipata al massimo (guarda caso, come buona parte di ciò che gli USA producono). Per quanto mi riguarda, il punto più alto mai raggiunto dalla collaborazione Giappone-America è stato il film di Final Fantasy, del “lontano” 2001; non credo rivedremo mai più qualcosa di simile.

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