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Sualzo ci porta Dove c’è più luce | Intervista

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Un libraio antiquario che vive di ricordi, anche se sua moglie l’ha lasciato dopo un’improvvisa amnesia. Una vita monotona, fatta di routine e cinismo, illuminata solo dal tempo passato con suo nipote. Ma quando una ragazza vuole autenticare un libro antico, tutto inizia a cambiare. Dove c’è più luce è un graphic novel che parla di memoria e sentimenti, che ci ha davvero colpito: durante Lucca Comics & Games 2023, ce lo siamo fatti raccontare dal suo autore, Sualzo, in questa intervista.

Dove c’è più luce, intervista all’autore Sualzo

Il nuovo romanzo grafico di Sualzo, edito da Tunué, racconta una storia dalla trama semplice, ma ricca di sfumature e significati. Un viaggio nella memoria, insieme al signor Voynich, un librario antiquario che non legge mai i libri che compra e vende. Sua moglie ha subito un’amnesia che le ha fatto dimenticare Voynich, che non riconosce più e con cui non vuole più vivere. Se non fosse per la gentilezza della sua assistente Anna e per il prezioso tempo con il figlio di sua sorella, Carlo, Voynich vivrebbe solo nel suo costante cinismo. Ma una ragazza che deve far valutare un antico volume potrebbe fornire al protagonista la scintilla per ridare calore alla propria vita.

Dove c’è più luce affronta il tema dei ricordi e della memoria in modi diversi e complementari, facendoci scoprire la complessa psiche dei personaggi una pagina alla volta, con deliberata attenzione ai dettagli. E raccontando molto più di quello che le parole dei dialoghi dicono, con tratti e colori maliconcini ma ricchi di vita nei dettagli.

Dove c’è più luce, raccontato dal suo autore

Durante Lucca Comics & Games, ci siamo presi qualche minuto di tranquillità per farci raccontare Dove c’è più luce da Sualzo nell’intervista che state leggendo. E l’autore ci ha spiegato come ha tracciato questa storia unica, che fa riflettere anche quando chiudete il volume.

La tua storia parla di memoria: libri antichi, amnesie e memento del proprio grande amore. Da dove nasce l’idea per un romanzo grafico su questo tema?

“Il nocciolo è quello lì. Mi interessava andare a raccontare e anche a riflettere sul concetto di memoria. Sia rivolta verso l’interno, la memoria costitutiva del tuo essere. Infatti, ho inserito nel romanzo una citazione di Valery, che ognuno è un ‘enorme fattto di memoria’. La percezione è quasi costantemente quello che ricordiamo di quello che ci è successo fino a quel momento. Però, anche una memoria più estesa, la memoria tramandata, la memoria storica, la memoria speciale. E l’idea era di riflettere sul ruolo dei libri, da sempre alla base della trasmissione di memoria. Ho fatto scontrare questi due concetti, mescolandoli. E presentando questo personaggio che, essendo un collezionista, ha un po’ la pretesa di essere una specie di Don Chisciotte che lotta contro la dispersione della memoria. Che è un po’ la pretesta di tutti i collezionisti.

“Mi interessava pormi un po’ di problemi intorno a questo concetto. E narrativamente ho introdotto anche la memoria in senso, diciamo, medico. Se uno perde la memoria, anzi, se qualcuno vicino a te perde la memoria. Perché noi ci riconosciamo anche in base agli affetti che abbiamo. Se una moglie, un compagno, qualsiasi persona importante nella tua vita perde tutta la tua conoscenza di te, cosa resta?

Sualzo Intervista Dove Ce Piu Luce

Il tuo é un libro che parla di libri. Ma il protagonista li colleziona, non li legge mai. Cosa rappresentano per te i volumi che riempiono le pagine del tuo romanzo grafico? E cosa rappresenta il collezionarli?

“Nella sua vicenda c’è una grande frattura. Che ha causato talmente tanto dolore che lui ha cercato di costruire una distanza. La sua pratica di collezionista in realtà è una pratica che lo allontana da tutto il resto, catalogando, cercando di controllare un’esistenza che gli era fuggita via. Totalmente fuori controllo, mentre invece, tramite la collezione lui tenta di idea di controllare. Però il controllo massimo ce l’hai quando ti disinteressi del contenuto. Vedi solo un contenitore. Lui guarda i libri da fuori: vede le posizioni, vede le condizioni, come sono fatti, la storia che hanno. Ma se lui li aprisse farebbe rientrare quella vita che invece lui sta tenendo a bada.

“Infatti, se uno legge il libro, a un certo punto lui apre un libro e da lì cambia. Non proprio per colpa di quel libro: è uno spiraglio, una crepa”.

Come accennavi, oltre al collezionismo di libri, si parla di botanica in Dove c’è più luce. Piante vive, da coltivare, che crescono. Cosa rappresentano in questa storia?

“Io son partito da quest’idea [della memoria e dei libri], poi siccome ci ho messo dieci anni per scrivere questa storia, tante letture che facevo ci sono finite lì dentro. Una parte importante l’hanno avuto i saggi di Umberto Eco sulla bibliofilia, sul tema della memoria vegetale. L’idea è che il supporto di memoria più potente che abbiamo è il libro. Lui la opponeva proprio a quella memoria di silicio, la memoria di un computer. È un supporto viene dalle piante. Ho fatto un parallelismo tra l’idea del collezionista, del bibliotecario che cerca di ordinare l’esistente ini una biblioteca e quello che si cerca di fare con il giardino. Uno prende la natura incontrollabile e cerca di dare un ordine, una catalogazione. Cerca di tenere a bada qualcosa di inarrestabile. Il protagonista si pone come guardiano della memoria, ma sta cercando di controllare qualcosa che non può frenare”.

Il protagonista di questa storia, il signor Voynich, non fa molto per farsi amare da noi che leggiamo. Ma la sua complessità ci affascina ogni pagina un po’ di più. Perché lo hai scelto come protagonista di questa storia?

“È davvero sgradevole. Questa è stata una sfida, anche se l’ho capito dopo che la voleva questa sfida. All’inizio che si è palesato così, l’ho dovuto conoscere, capire ciò che voleva da me. E poi ho capito che volevo dei lettori che si fidano molto di me, dei lettori interessanti e interessati. A cui puoi dare un personaggio che non è gradevole. Ma dovevo dare loro qualcosa per non sperassero che morisse a pagina dieci. La sfida era questa, andare oltre l’idea di ‘affezionatevi a questo personaggio perché ne avete motivo’. No, seguitelo perché vi porto da qualche parte. E questa da autore è la responsabilità che mi sono preso. Io mi sono fidato molto dei miei lettori, quindi spero ci sia un contraccambio”.

Il signor Voynich vive nella memoria. Ma tutti sembrano sapere che “vivere é l’unico modo per tenere lontana la morte”. E che lo tengono aggrappato al mondo, in qualche modo.

“Quello del vivere per tenere lontana la morte è una dei miei pallini, perché io sono uno che spesso fa mille ragionamenti che mi allontanano dalla vita per paura di morire. Però se non fai niente sei morto subito. Nel romanzo grafico il protagonista si scontra con il suo terapeuta, quando lo vede nella realtà fuori dalla terapia e forse capisce di più in quei trenta secondi che durante le sessioni di terapia. Gli dice: ‘guarda, tu fai di tutto per non vivere, probabilmente per paura di morire’. Ma quello di vivere è ancora l’unico antidoto che conosciamo per la morte.

Come nascono questi personaggi: Carlo, Anna, Osvaldo?

“Già in copertina abbiamo il nipote Carlo, che compare poi in una manciata di pagine, una quindicina forse. Però ha un peso e un reverbero molto forte, tanto che l’ho voluto portare in copertina. Perché è lui, forse, che ci fa intuire che c’è una crepa nel muro di questo personaggio. Se a un certo punto lui cambia faccia, è quando sta vicino al bambino. Ci accorgiamo che lui è stato anche qualcos’altro e probabilmente potrebbe ancora esserci qualcosa in lui. L’ho voluto mettere anche in copertina proprio perché è un protagonista, pur senza apparire molto. Lo stesso vale anche per le figure femminili. La moglie non si vede mai, però c’è sempre.

“Ci sono dei personaggi che sono poco presenti nella storia, ma il riverbero si sente. Sono cartine al tornasole che illuminano il protagonista, fino a una presa di coscienza che non arriva in un colpo. Fanno capire che della luce sta entrando, qualcosa che non era preventivato. E questo coro di personaggi mi serve per svelare a poco a poco il cambiamento. E anche per me con Voynich è stato così. Io stesso non avevo chiarissimo come lui potesse uscire da questa rigidità iniziale. Infatti, periodicamente questo libro l’ho accantonato proprio perché mi sembrava che il personaggio fosse finito, che non avesse altro da dire. Poi riprendevo la scrittura e scoprivo qualcosa. Anche perché io stesso ho poca memoria, quindi quando lo riprendevo mi dicevo ‘bello questo libro, ma perché non l’ho continuato?’ E così per tre-quattro volte fino alla fine. A un certo punto mi ero anche immaginato di non averlo scritto io, perché non mi ricordavo niente, ma mi piaceva molto e dicevo: non è possibile che l’abbia scritto io”.

Al centro di Dove c’è più luce troviamo due storie d’amore atipiche. Una donna che ha dimenticato Voynich, che però continua a ricordarla – almeno fino all’arrivo di un’altra donna. Che rapporto hanno amore e memoria nel tuo libro?

“La memoria gioca un ruolo importante in una storia d’amore, non solo la tua ma anche quella di chi ti è stato vicino, sapere che eco hai avuto nella sua vita e cosa ti restituisce. E nel momento in cui non c’è più questa sponda, è un vuoto. Che è diverso dalla morte: se ti muore un caro tu conservi la sua memoria. Invece, l’amnesia della moglie cancella il mio protagonista, che lo vede quasi come un atto volontario. Perché è una persona che continua vivere, che continui a vedere, ma che semplicemente non contempla più la tua esistenza. È un rapporto più complesso che quello della morte di un caro, perché in quel caso metti un punto. Invece qui non è finito, ma tu non ci sei più nella sua memoria”.

In passato hai scritto anche storie per ragazzi, questo invece sembra un libro che parla a chi comincia ad avere troppi ricordi e si dimentica di farne di nuovi. Da che esigenza nasce? Come cambia il tuo approccio nello scrivere e disegnare?

“Per dieci anni almeno, anche più, ho fatto solo libri per ragazzi. Perché,intanto, credo che per scrivere per ragazzi non può essere un’incursione. Devi parlare, devi rimanere, devi pensare che hai un pubblico che va rispettato, va capito. Devi crescere con loro. Quindi è stata non una parentesi.

“Ma la scrittura per un pubblico adulto è rimasta sempre dentro di me. L’ultimo l’ho scritto forse dieci, undici anni fa. Ma sempre rimasta. È sicuramente una cosa molto diversa, perché per i ragazzi hai dei problemi completamente opposti. Hai il problema di voler raccontare più o meno le stesse cose, ma tenendo conto che il tuo pubblico ha una competenza diversa e tu non devi adattare le cose al pubblico, ma devi capire che puoi raccontare tutto, ma in una certa maniera. Qui invece hai una libertà forse più ampia, perché hai lettori di qualsiasi tipo di competenza, quindi vado. Però è una libertà difficile da gestire. A un certo punto mi sono smarrito proprio perché non avevo limiti. C’è voluto un po’ per ritornare e mettere a fuoco”.

Sicuramente questo protagonista ha problemi da adulto.

“Sì, senza dubbio. Molti mi chiedono da dove ho preso questo carattere per il mio protagonista. Ma, anche se fortunatamente non sono solo così, io sono anche così. Ho una dose di misantropia molto elevata, cinismo: anche se, fortunatamente, controbilancio. Con Voynich ho fatto un po’ come il Visconte Dimezzato di Calvino, perché tutta la parte negativa l’ho messa nel personaggio, all’inizio della storia almeno. Ho polarizzato molto il suo carattere.

“Anche quando faccio cose coi ragazzi, penso a cose che mi appartengono. Ma c’è una mediazione, un pensiero o una proiezione verso i ragazzi di oggi, oltre che verso il mio passato. In questo libro invece non ho mediato, non ho spiegato.

“Persino l’ambientazione mi appartiene temporalmente. Non lo esplicito, ma ci sono le lire, i telefoni con la cornetta. Anche perché io volevo un personaggio molto isolato e l’ho messo in un’epoca in cui, se uno si fosse voluto isolare, si sarebbe potuto isolare per davvero. Oggi forse siamo più soli, ma siamo sempre in contatto, ci sono collegamenti con tutto. Invece, negli anni ‘80 se decidevi di tagliare fuori gli altri, bastava non rispondere alle telefonate”.

Vorrei parlare della scelta cromatica: cosa ti ha spinto a usare le sfumature di blu?

“Avendo lavorato su questo libro per molto tempo, ho fatto moltissime prove. Ho anche testato diversi stili di disegno. Poi ho provato diversi colori, anche acquerelli. Ma quando la storia l’ho sviluppata veramente, l’ho capita, ho anche capito che avrei dovuto adottare graficamente una soluzione che mi facesse stare il lettore un po’ più vicino alla pagina. Qualcosa che facesse tenere un ritmo diverso.

“Quindi il colore mi serviva non tanto per dare impressioni naturalistiche, ma più che altro per definire degli stati d’animo. E volevo che il bianco si vedesse veramente. Doveva essere quasi un allagamento delle pagine. Doveva diventare la prima cosa che il lettore vedeva, mentre di solito funziona al contrario, vedi gli altri colori e il bianco fa contorno.

“Inoltre, ho disegnato con minuziosità diversi dettagli, dai vestiti agli edifici, piuttosto che scaffalature dei libri. Avrei potuto fare anche copia incolla in digitale, invece li ho voluti disegnare uno a uno, perché questo modo di procedere mi faceva pensare e volevo che chi leggesse  trovasse una traccia di questo pensiero”.

Non voglio fare spoiler, ma il finale di questo volume sembra più un nuovo inizio. Tu cosa ti porti a casa dalla stesura di questa storia?

“A me i finali chiusi, anche da spettatore, non mi soddisfano mai appieno. Perché io, su una storia mi piace, me la immagino che vada oltre alla mia lettura. Invece, con una conclusione totale, mi sembra che muoia la storia. Devo concludere la storia, ma devo concluderla pensando che è un momento. Il sogno, per un autore, è che un lettore continui a pensare la mia storia, anche dove non l’ho scritta. La conclusione non deve essere la chiusura, la morte della storia”.

“Uno dei motivi per cui ho scelto il formato del graphic novel è che il personaggio si trasforma nell’arco di un libro. E mi piace che i lettori pensino possa continuare a cambiare anche in futuro. Il mio protagonista è una persona completamente diversa da quella che era nella prima pagina, spero. E io sono un po’ cambiato con lui. È l’idea poi del romanzo, che è sempre un racconto di cose che si trasformano”.

E nel tuo di futuro, cosa vedi. Un ritorno alla letteratura per ragazzi o un altro graphic novel per adulti?

“Tornerò sicuramente alla letteratura per ragazzi, perché fa parte proprio di tenere un contatto con i ragazzi e soprattutto nel mondo dei fumetti. Perché il pubblico nuovo non lo fai con i ventenni ma con bambini e ragazzi. A cui devi dare prodotti di qualità, belli, pensati. Questa è una vocazione che sento forte. Poi Silvia Vecchini, che oltre a essere mia moglie è mia partner di scrittura, scrive per ragazzi: è inevitabile che un’idea arrivi.

“Anche perché, come vedi, ci impiego parecchio a scrivere libri per i più grandi. Ma uno non prenderà il posto dell’altro. Non mi pongo tempistiche: è una cosa che viene, anche quella per un’esigenza che sento. Anche perché mi costa un sacco di energie. Quando arriva la motivazione la riconosco e mi metto in moto. Speriamoci di mettercene solo otto la prossima volta”.

Potete trovare Dove c’è più luce di Sualzo sul sito di Tunué.

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