
Donald Trump ha annunciato l’intenzione di introdurre dazi del 100% su tutti i film prodotti fuori dagli Stati Uniti, definendo le produzioni estere “una minaccia alla sicurezza nazionale”.
Lo ha fatto con un post su Truth Social in cui ha scritto: “L’industria cinematografica in America STA MORENDO a una velocità spaventosa. Altri Paesi offrono ogni tipo di incentivo per attirare i nostri registi e i nostri studi. È un attacco concertato, e quindi una minaccia alla sicurezza nazionale”.
Oh no, Donald Trump ora se la prende con i film
“VOGLIAMO I FILM PRODOTTI IN AMERICA, DI NUOVO!”, ha scritto Trump, evocando un ritorno a una presunta età dell’oro. Ma gli incentivi fiscali internazionali hanno da anni spostato le grandi produzioni oltreoceano. Regni Uniti, Canada e Australia offrono sostegni economici generosi che riducono i costi dei blockbuster. Film come Avengers: Doomsday e Dune: Messiah stanno attualmente girando in Europa, mentre The Odyssey di Christopher Nolan ha alternato set in Marocco, Sicilia e Los Angeles.
Secondo Trump, altri governi “stanno finanziando le loro produzioni con ingenti somme”, sottraendo lavoro e infrastrutture agli Stati Uniti. “Se non sono disposti a girare un film negli Stati Uniti, allora dovremmo imporre un dazio”, ha dichiarato ai giornalisti, nel mezzo della sua onnipotenza era.
Le parole del presidente hanno ovviamente innescato panico tra gli studi e i sindacati. Jon Voight, attore e ambasciatore “speciale” di Trump a Hollywood, ha incontrato diversi dirigenti nelle ultime settimane. In molti speravano in incentivi fiscali federali, non in misure punitive. I rappresentanti sindacali da tempo chiedono agevolazioni a livello nazionale, visto il calo del lavoro nelle troupe tecniche.
Nel frattempo governatore dem della California Gavin Newsom, attaccato da Trump come “governatore grottescamente incompetente”, ha fatto sapere attraverso il suo staff che “Trump non ha l’autorità per imporre dazi attraverso l’International Economic Emergency Powers Act”. Il provvedimento, infatti, non prevede i dazi tra gli strumenti a disposizione.
Le implicazioni dei dazi di Donald Trump ai film: tra rischi legali e ripercussioni globali
Le modalità di applicazione dei tanto paventati dazi restano nebulose. Non è chiaro se riguarderà solo i film interamente prodotti all’estero, o anche quelli girati parzialmente fuori dagli USA. Non è chiaro nemmeno se verranno colpite le produzioni già in corso. Inoltre, la moratoria dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sui beni digitali (valida fino al 2026) potrebbe complicare l’applicazione delle tariffe.
Probabilmente Donald Trump ignora che il cinema statunitense genera un surplus commerciale di 15,3 miliardi di dollari. Secondo la Motion Picture Association, gli USA esportano tre volte più contenuti di quanti ne importino. L’imposizione di dazi rischia quindi di provocare ritorsioni da parte di altri Paesi, con impatti diretti sull’incasso internazionale dei film americani. Intanto, gli studi legali delle major sono in allerta, cercando di capire cosa Trump voglia realmente.
E se fosse tutta una vendetta per The Apprentice?
La notizia dei presunti dazi del 100% sui film ha ovviamente (ri)portato Donald Trump al centro di meme, prese in giro e speculazioni. L’autorevole portale britannico NME suggerisce che la manovra sia addirittura collegata a The Apprentice, film sul giovane Trump a lungo osteggiato dallo stesso Presidente USA (che arrivò a volerlo vietare).
La pellicola, girata principalmente in Canada, vede come protagonista Sebastian Stan e consegna agli spettatori un ritratto di Trump non proprio lusinghiero (anzi). Da questo punto di vista, l’idea di imporre dazi potrebbe anche essere intesa come censura nei confronti dei film stranieri “non allineati” all’attuale presidenza.
Nel frattempo il mese scorso Jordan Belfor – il “vero lupo di Wall Street”, a cui si è ispirato il film di Martin Scorsese -ha espresso il suo sostegno ai dazi di Trump. Belfort ha dichiarato:
“Gli Stati Uniti sono stati svuotati della loro ricchezza, delle loro fabbriche. Non sarà bello. Ci sarà da soffrire, ma la strada che stavamo percorrendo prima è semplicemente insostenibile. Bisognava cambiare”.
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