Intrattenimento

Dio esiste e vive a Bruxelles: un nuovo testamento

Sant’Agostino se lo domandava già parecchio tempo fa: se Dio esiste, allora da dove viene il male? Se vuole abolirlo ma non ci riesce, allora è un Dio debole. Se invece può, ma non vuole,  è un Dio maligno che si diverte a tormentare le sue creature.  Nella sua commedia Van Dormael ha optato per la seconda possibilità, sistemando un tale violento e rozzo in un’anonima casa (senza porta d’ingresso) di Bruxelles, e conferendogli la singolare caratteristica di essere, oltre a uno sciatto egoista, il Creatore dell’Universo e l’onnipotente padre di tutti gli esseri viventi.
Il Dio dipinto dal regista belga si diverte a tal punto a far soffrire gli esseri umani da infliggergli oltre a sciagure e calamità anche l’invenzione di cui va più fiero, le leggi della sfiga universale (quelle per cui, ad esempio, il pane vi cadrà sempre dalla parte della marmellata e la fila in cui non avete scelto di incolonnarvi scorrerà sempre più veloce della vostra), per assicurarsi che la vita degli uomini sia un incubo anche nella semplice quotidianità. Da quando il suo primogenito, J.C., è scappato di casa molti anni fa manomettendo la lavatrice per lasciare a dodici apostoli il compito di diffondere la sua parola, diventando così più celebre e amato di suo padre, nella casa di Bruxelles  Dio vive solo con sua moglie, una donna spaventata e sottomessa che non osa mai dare la sua opinione, e con la sua secondogenita Ea, una bambina di 10 anni di cui nessuno ha mai sentito parlare. Dopo aver subito per una vita il caratteraccio di suo padre, la bambina scopre le atrocità a cui Dio sottopone gli uomini. Decisa a far finire tali vessazioni Ea decide di scappare seguendo le orme del fratello J.C., fuggendo attraverso il cestello della lavatrice per partire alla ricerca dei suoi sei apostoli. Prima di farlo, tuttavia, manomette il computer dal quale Dio fa il bello e soprattutto il cattivo tempo sugli esseri umani, privandolo del suo potere più grande. Ea invia così ad ogni persona un messaggio in cui rivela il momento esatto in cui moriranno.
É sulla base di queste premesse che si  svolge la narrazione di Le tout nouveau testament (da noi “Dio esiste e vive a Bruxelles”), che dipinge il surreale scenario in cui la parte più ricca dell’umanità (solo chi possiede un cellulare può infatti ricevere il messaggio di Ea) diventa improvvisamente consapevole della propria mortalità, in una carrellata forse troppo rapida ma nel complesso ben orchestrata di tipi umani e della relativa reazione alla rivelazione del proprio personale countdown verso la morte.
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Che dobbiamo morire, Troisi ce l’aveva già ricordato in Non ci resta che piangere, ma il conto alla rovescia rivelato dalla figlia di Dio è molto più che un semplice monito. Conoscere l’ora della propria morte, se libera l’uomo dal giogo di Dio, condanna l’uomo a decidere cosa fare del tempo che gli rimane. Inesorabilmente e tristemente, la scelta cadrà su atteggiamenti inconcludenti, finalizzati a godersi ogni attimo al massimo. Altre volte, e lo dimostrano alcuni degli apostoli di Ea, la scelta è di non scegliere, e non cambiare affatto la propria vita.
L’idea non è nuova.  Il regista riprende e rimaneggia piuttosto goffamente ma in modo intuitivo per il pubblico più vasto quanto ci aveva già detto Eschilo nel Prometeo incatenato, quando il Titano donò all’umanità l’oblio dell’ora della morte.  “Spensi all’uomo la vista della morte”, disse Prometeo, aggiungendo che il farmaco per questo male è “la speranza che non vede”. Dimenticando l’ora della propria morte gli uomini sono stati spinti a comportarsi come se questa non esistesse, rendendosi artefici di meravigliose invenzioni, di arte immortale e di pensieri profondi. Dimenticare il limite della mortalità ha incoraggiato l’umanità durante il corso della Storia a migliorare il Mondo per il (proprio) futuro,  e sebbene l’etica ne rimproveri gli eccessi  rimandandoli al significato della tracotanza di antica memoria, è stato sufficiente un conto alla rovescia per seminare il caos.
Tuttavia, in un modo o nell'altro, la rivelazione della morte e l’incontro che Ea ha con ognuno di loro, spinge i suoi sei discepoli a migliorarsi, ad affermare con convinzione la propria personalità e a liberarsi da tutto ciò che le convenzioni sociali avevano imposto loro, per trovare una felicità con la data di scadenza  ma sicuramente vera. Il tema trattato è vasto come il mare in riva al quale nel film è stato creato un vero e proprio business della morte, con pacchetti tutto compreso e fasce da braccio per fare ordine nella folla e dividere i morenti del giorno dai loro accompagnatori. A tratti si percepisce infatti una certa fatica da parte del regista nel reggere le redini del discorso, con personaggi solamente abbozzati e storie lasciate pressoché a metà. 
Senza fare spoiler, dopo una carambola di siparietti comici piuttosto forzati contrapposti ai sorrisi dolceamari strappati dalle vicende dei protagonisti viste attraverso gli occhi di una bambina, Van Dormael ha scelto per i suoi personaggi un lieto fine dettato ancora una volta dalle divinità e non dalla rivalsa dei buoni e veri sentimenti umani. Per tutto ciò che ancora resta da sistemare, sarà sufficiente riavviare il sistema.

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