Cultura e Società

Christopher McKenney: l’incubo in camera oscura

Bentornati, è bello vedervi di nuovo.
Vi piacciono le fotografie? 
Bellissima e istantanea forma d’arte la fotografia, non è vero?
Qualche purista un po’ polveroso a questo punto avrà storto il naso, perché più o meno apertamente sostiene che di vera forma d’arte non si tratti. 
Non riesce a darsi pace, non capisce come si possano mettere sullo stesso piano un quadro e una foto. La seconda si crea in un istante, un click e si è fissato con il movimento di un dito un’immagine. Niente a che vedere con le lunghe ore e la fatica che un grande maestro ha speso per dipingere un quadro.
Per essere un pittore bisogna avere “la mano”, conoscere la tecnica.
Un concetto di “vera arte” quindi molto legato all’artigianato, alla fatica e al lavoro impiegato.
E forse anche all’illusione che sia più semplice riconoscere il valore artistico di un dipinto (o di una scultura) e che sia più facile e rapido produrre una fotografia d’autore.
Ma è proprio così? Come se l’arte si misurasse a cottimo, tante più ore spese, tanto più artistica sarà la mia opera; un tanto al kilo.
Eppure nel tempo chi si è occupato di stabilire se di arte effettivamente si trattasse era proprio chi guardava, e non certo chi aveva scolpito, dipinto, composto…
Ma quindi conta di più l’impegno, la fatica che un artista mette in quello che fa o dobbiamo spostare la lente sull’effetto che si crea in chi osserva? Chi ha creato l’opera d’arte, il fattore o il fruitore?
Fin qui tutto bene, però restiamo sempre un po’ più propensi a pensare che un quadro sia più artistico di una fotografia, un gradino sopra; per quanto possa essere antipatico e conformista è un pensiero difficile da scrollarsi di dosso.
Ma.
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Ma se mi domando invece se quello che vedo in una fotografia, rispetto a quello che osservo in un quadro, è più veritiero allora ho ben pochi dubbi sulle risposte.
Chiaro, tendo più a fidarmi di una foto scattata: quella riprende una porzione di realtà, non si scappa. Con il quadro no, abbiamo un disegno, un dipinto, qualcosa che è filtrato e riproposto dall’artista in questione.
Eccoci al dunque: se un quadro è più artistico ma è più finto allora arte è sempre finzione?
E una foto allora è sempre più veritiera? Qui vi volevo.
Basta, vi ho confuso a sufficienza le idee, andiamo al dunque e facciamoci inquietare a dovere da un fotografo in particolare che ha tutt’altra percezione della fotografia da quella che ci viene in genere più banalmente proposta.
Le foto di Christopher McKenney sono un buona cartina di tornasole per capire quanto ci possiamo fidare dei nostri occhi (oppure no).
Ecco cosa vuol dire avere paura di qualcosa che non si vede piuttosto che qualcosa di ben presente davanti ai nostri occhi.
Facile farci spaventare per qualcosa di orrendo che improvvisamente ci compare davanti all’improvviso; molto più complicato infilarsi nei nostri incubi, rubarci qualcosa e ripresentarcelo davanti come se non fosse poi questo grande sforzo.
Quanto possa essere più spaventosa la sola mancanza di un dettaglio potete vederlo da voi sfogliando queste foto.
È quella mano sospesa nel vuoto, quel volto che ci fissa da un velo troppo sottile e aderente perché possiamo essere davvero a nostro agio.
Il brivido è nel colore malato e lucido. Nella giornata di nuvole soffocanti ma dalla luce tagliente.
Un grigio gelido e luminoso che soffoca.
Vedo delle mani che sorreggono uno specchio, in cui si riflette la stessa immagine all’infinito. Ma dove è finito il resto? Di chi sono quelle mani?
Un bravo fotografo interessato all’horror surrealista sa che le gradazioni dell’orrore e dell’inquietudine possono essere variegate e molteplici e di certo non si tira indietro nel mostrare la sua bravura facendocele esplorare tutte.
Una paura muta, non c’è contatto tra chi guarda e chi è dentro le foto; i volti sono coperti e se per sbaglio sono presenti degli occhi, di certo non possiamo definirli vivi.
Non c’è vicinanza tra chi osserva e l’immagine riflessa. 
Benvenuti nella galleria dei nostri peggiori incubi.
Avete mai fatto quel sogno in cui state cercando di scappare da una foresta oscura e fitta e qualcosa è immancabilmente alle vostre calcagna? Siete mai arrivati al limite del bosco tenebroso e a un passo dall’uscita irrimediabilmente siete stati tirati indietro?
L’infinita e agghiacciante corsa sul posto senza mai potersi veramente muovere.
Speriamo solo, assai fervidamente, che nessuno degli uomini ritratti si volti mai verso di noi.

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Francesca Giulia La Rosa

Trekker, whovian. Non amo le etichette (a parte queste?). Traduttrice, editor a caccia di errori come punti neri nel tessuto della realtà. Essere me è un’esperienza profondamente imbarazzante.

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