Intrattenimento

Una Giornataccia

Testi di Valerio Peretti Cucchi

Il soldato montava la guardia con aria annoiata e pensierosa. La fidanzata, la licenza, il prossimo turno di guardia…era soldato semplice, per questo aveva solo pensieri semplici. Ogni tanto uno sbadiglio gli riempiva i polmoni  dell’aria minacciosa di un temporale in arrivo. E dire che era stata una giornata non male, sino a poche ore prima. Il sole aveva fatto splendere gli elmetti, aveva fatto splendere le armi dei soldati e aveva fatto splendere le lacrime delle donne. Si, una giornata tutto sommato piacevole. Peccato per quelle nuvole grigie, cariche di acqua come vesciche piene, alla impellente ricerca di un albero contro cui scaricarsi. Le nubi avevano scacciato la luce con la stessa velocità con cui lui e i suoi commilitoni avevano allontanato la folla, anche se a dir la verità,  le nubi erano ancora presenti in massa, mentre lui era rimasto da solo a fare la guardia. Il militare ne dedusse che le nubi hanno maggior spirito di corpo dei soldati. Avevano riso, scherzato, torturato, bevuto e persino giocato a dadi. 
La posta in gioco era il turno di guardia e lui aveva perso. Adesso era lì, sotto quel cielo sempre più grigio ad ascoltare i tuoni lontani e i lamenti di quel’ Uomo. Non smetteva un momento di brontolare. Ogni tanto il soldato riusciva ad afferrare qualche parola: “pietà, sete, aiuto” Le solite banalità dette da un moribondo. Il soldato odiava i moribondi perché oltre a volersi disperatamente attaccare a quel poco di vita che rimaneva loro, dimostrando di non saper perdere, lo annoiavano. Il soldato amava il suo lavoro e considerava i moribondi una sorta di inciampo professionale. I morti si che erano il risultato di un lavoro ben fatto. Lui per quello era pagato, per dare la morte, non per far la guardia ad un errore di produzione. Comunque, volente o nolente, doveva ubbidire agli ordini. I capi volevano che lui stesse lì ad aspettare che il condannato a morte togliesse il disturbo? E lui, ubbidiente, fregandosene da professionista, sarebbe stato lì, sino alla fine, sperando arrivasse prima la morte del temporale. Se solo Quello avesse smesso di lamentarsi! Dal canto suo, anche il condannato avrebbe voluto lamentarsi meno, ma non ce la faceva proprio, era più forte di lui. Cercava negli angoli più nascosti della sua mente dei pensieri positivi, dei buoni motivi per andarsene serenamente, ma gli affioravano solo odio e rancore. La cosa che lo stupiva maggiormente era che non odiava i suoi aguzzini, così come non odiava gli sbadigli di quel soldato annoiato che lo osservava come se il suo dramma, fosse solo l’atto finale di una commedia recitata male. No, chi suo malgrado stava odiando, era la persona che per tutti quegli anni aveva amato maggiormente: suo Padre! Si sentiva abbandonato al suo destino, tradito. 
Si era sempre fidato di suo Padre, gli aveva sempre ubbidito, lo aveva venerato, lo aveva glorificato…e lui? Per riconoscenza lo aveva messo in quella condizione! Nemmeno una parolina di conforto, neppure un tentativo di salvarlo, neanche un gesto per provare a strapparlo al suo destino! E dire che se era in quella condizione la colpa era tutta di quell’ingrato. Quello dava ordini, dettava regole. In nome del suo concetto di giustizia, lo aveva spinto a creare malcontento e cospirazioni e quando poi, si é trattato di pagare, cosa ha fatto? Si é defilato, ha lasciato lì lui a beccarsi gli insulti, le frustate, gli sputi e le sassate della gente, la condanna e il martirio. “Complimenti, e poi lo chiamano amore paterno! Adesso sono qui, immobilizzato, con un doloroso cerchio alla testa, il sangue che mi cola lungo tutto il corpo, e siccome sono anche nudo, per non farmi mancare nulla, sta anche arrivando un temporale, così, se sopravvivo alla tortura puoi sempre sperare che muoia di polmonite! Grazie! Quando uno ha un padre come te, invidia gli orfani, credimi! Ti odio, cosa ti ho fatto? Perché mi merito tutto questo? Gli altri padri mettono in castigo i propri figli, li mandano a letto senza frutta, al massimo li sculacciano, nei casi estremi arrivano a diseredarli, ma arrivare al punto di consegnarli al boia per raggiungere il proprio scopo non sé mai visto! Solo tu sei arrivato a tanto! Rispondimi, fatti sentire, dove sei? Si dice che per crescere, l’adolescente deve uccidere metaforicamente la figura paterna, e allora? Dovresti essere tu qui al mio posto, non io!” L’Uomo ora non stava più borbottando, stava urlando al cielo la sua disperazione. “Smettila, tutti hanno problemi familiari, non sei il solo ad avere un padre con un caratteraccio, cosa dovrei dire io allora? Lo sai perché mi sono arruolato? Perché l’esercito mi sembrava meno autoritario del mio vecchio! Oh, mi senti? Rispondi! Non dirmi che te ne sei andato proprio adesso…guarda che neanche a me piace stare qui sai? 
E’ una giornataccia, mai avrei pensato di passare la Pasqua in questo modo da schifo!” L’Uomo sentiva le parole del soldato, stava pensando che nonostante tutto amava suo padre come amava se stesso, anzi era come se si sentisse un tutt’uno con lui. Con un ultimo sussulto riuscì appena a sospirare una breve, inutile frase: “…Padre, perché mi hai abbandonato?…” Quindi morì, con le braccia larghe, più per rassegnazione che per i chiodi della croce!
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