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Sangue e rime: l’antica poesia di Norvegia

Continuano i nostri preparativi per la spedizione in Norvegia a caccia di aurore boreali, e visto che alcuni fortunati di voi ci seguiranno, oggi torniamo a parlarvi di questa meravigliosa terra, ricca di storie meravigliose e paesaggi da mozzare il fiato.
Oggi parleremo di una tipologia di temibili guerrieri scandinavi, esatto, i Bardi.
E non fate quella faccia.
Lo so cosa state pensando, effettivamente in genere quando si nomina il bardo, difficilmente ci si immagina un personaggio che incuta particolare timore, anzi…
Più che altro si pensa a degli agili strimpellatori, inutili in azione e meno che mai in combattimento.
Se va bene possono risollevare gli animi coi loro canti prima e dopo un conflitto, o fungere da carne da macello come diversivo. Ma non è sempre stato così per certi poeti.
La poesia nella storia e cultura norvegese ha un’importanza capitale, è il mezzo con cui sono state tramandate la tradizione e la mitologia norrena, tanto per fare un esempio.
Vi abbiamo già parlato dei principali miti, alcuni dei quali sono stranoti in ambito Nerd.
Odino stesso era dio della poesia, oltre che della guerra, della morte, del destino e della magia; guerra, morte e poesia, un terzetto inscindibile se ci pensate.
Una terra come la Norvegia, non poteva certo farsi mancare la poesia e degli ottimi bardi che la componessero e la eseguissero. Possibilmente degli ottimi bardi guerrieri: gli Scaldi.
La poesia scaldica è particolare, è fatta soprattutto di composizioni di corte, che molto probabilmente erano cantate accompagnati da strumenti (arpe o lire).
Il prestigio degli Scaldi era così alto che spesso gli stessi sovrani ne vestivano i panni, per dimostrare di avere sia abilità guerriere sia abilità di composizione e prontezza di spirito.
Infatti gli Scaldi oltre che poeti e cantastorie, erano prima di tutto guerrieri e ufficiali di corte, consigliavano il sovrano in materia di politica e strategia, combattevano al suo fianco, per poi, una volta a corte, cantare quello che avevano vissuto in battaglia, senza dimenticare i miti e leggende del loro popolo. 
Cantavano per lodare il loro re, lanciandosi in infinite descrizioni di armi, epitaffi e genealogie, a cui spesso si aggiungevano poemi d’occasione per eventi particolari, racconti di sogni, elaboratissimi insulti o intricate descrizioni per raccontare quanto incredibili fossero le gesta di qualche eroe.
Oggi non possiamo far altro che leggerci quello che è rimasto di queste composizioni, per scoprire che il linguaggio è veramente astruso, e non è possibile capirne il significato senza conoscere il retroterra culturale, la mitologia e la storia del popolo del Nord.  Particolari riferimenti tutto’ora rimangono incerti o ignoti.
Il linguaggio è ricco di metafore, che vengono denominate Kennings, basate spesso su riferimenti ad eventi , credenze o idee che erano familiari solo alla gente del tempo.
Le Kennings non sono da interpretare letteralmente ma stanno ad indicare un concetto diverso, come nel caso di “pollo di mare” per indicare il tonno, o “spada liquida” per il “sangue” o  “la terra blu di Haki”, il mare.
L’epoca d’oro di queste produzioni è molto antica e va dal nono al tredicesimo secolo, e l’ultimo Scaldo famoso, teso a rivitalizzare  quest’arte ormai morente, è Snorri, mentre il più grande sembra essere stato Egill Skallagrímsson.
È Snorri a raccontare il mito dell’origine della poesia; nella sua versione dei fatti il dio della poesia è Bragi, figlio di Odino, il dio dalla lunga barba e l’eloquio imbattibile.
La prima parte dello Skáldskaparmál di Snorri riporta un dialogo tra Bragi e Ægir sulla natura della poesia, in particolare proprio di quella scaldica.
Bragi racconta di come l’origine del nettare della poesia venga dal sangue di Kvasir, un uomo incredibilmente saggio, e di come Odino sia riuscito ad ottenere questo nettare. 
La poesia quindi per i norvegesi è nata dal sangue; poteva essere qualcosa di meno "badass" di così?

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Francesca Giulia La Rosa

Trekker, whovian. Non amo le etichette (a parte queste?). Traduttrice, editor a caccia di errori come punti neri nel tessuto della realtà. Essere me è un’esperienza profondamente imbarazzante.

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