Intrattenimento

Black Mirror: la tecnologia ci sta alienando?

Da dove stai leggendo questo articolo? Un tablet, un computer. Forse uno smartphone. Magari hai Facebook aperto in un'altra tab, probabilmente ti è appena arrivata una nuova notifica su Twitter o WhatsApp.
Ormai da anni le nostre vite sono governate da social network e applicazioni varie. Siamo circondati da schermi, a qualunque ora del giorno. Non tutti, forse; ma la maggior parte di noi. Adesso prenditi qualche minuto per riflettere obiettivamente (non stare a raccontarti sciocchezze, quindi!): quanto influiscono la televisione, i social network e in generale la tecnologia, nelle vostre vite? Quali le conseguenze?
Cosa ci sta accadendo, e cosa ci accadrà in futuro, se continueremo a proseguire in questa direzione?

È attorno a queste considerazioni che Charlie Brooker ha ideato Black Mirror, fortunata serie distopica considerata da molti l'erede di The Twilight Zone.
Attualmente è composta da due mini-serie da tre episodi ciascuno, più uno special andato in onda in occasione del Natale 2014. La particolarità sta nel fatto che gli episodi sono totalmente scollegati tra loro: diverse ambientazioni, diversi personaggi, un cast che cambia continuamente, situazioni sempre diverse ma legate da un unico filo conduttore.
Le trame sono apparentemente semplici, ma realizzate magistralmente; i lettori di Philip Dick e George Orwell troveranno spesso dei punti in comune. In tutte la tecnologia si trasforma da importante risorsa a matrigna, padrona delle vite dei protagonisti. Una droga, spesso, cui risulta difficile fare a meno. La società è fredda, ognuno è concentrato nel proprio piccolo mondo. E drammaticamente spesso, le cose prendono una pessima piega.
Un chip che consente di salvare, rivedere, proiettare i propri ricordi. Un'applicazione che consente di chattare con una riproduzione virtuale di qualcuno che non c'è più. Poter letteralmente bloccare delle persone dalle proprie vite. Questi sono solo alcuni dei punti salienti dell'opera, su cui purtroppo non possiamo soffermarci.

È veramente complicato parlare di un simile piccolo capolavoro in poco spazio, senza fare spoiler e rendendogli pienamente giustizia, ma ci proveremo. Per farlo, vi illustreremo 15 Million Merits, secondo episodio della prima stagione, tra i più “fantascientifici” e marcatamente distopici.
In un futuro non precisato, l'umanità è confinata in un'enorme edificio, e tutti sono costretti a pedalare quasi incessantemente su una cyclette – probabilmente per ovviare al fatto che la maggior parte delle risorse presenti sulla Terra sono state distrutte -, ricavandone dei punti che possono spendere in cambio di beni e servizi. Tra questi, la possibilità di saltare le pubblicità che vengono proposte sugli schermi televisivi presenti ovunque e che accompagnano costantemente le vite dei pedalatori. L'unico modo per sfuggire a questa vita è, appunto, diventare una celebrità televisiva. Per fare ciò è necessario passare attraverso un concorso organizzato come talent show a-la X-Factor.
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Protagonista della storia è Bing, uno dei pedalatori più forti e quindi più “ricchi”. Bing conosce Abi, pedalatrice anch'essa, resta colpito dalle sue doti canore e si invaghisce di lei. I due si avvicinano sempre più, fin quando il ragazzo non decide di spendere praticamente tutti i propri punti per pagarle l'entrata nel concorso. Abi, seppur dopo qualche titubanza, accetta e si esibisce di fronte alla giuria, che, affascinata, le offre un lavoro nel campo dell'intrattenimento, e dunque la possibilità di sfuggire alla vita da pedalatrice. Suddetto lavoro, però, sarà nel campo della pornografia.
Chiaramente, non vi facciamo spoiler riguardo al finale.
Un lavoro alienante. La televisione come unico svago, sempre presente, sempre invadente. La fama come unica via di fuga, e individui disposti a calpestare la propria dignità pur di raggiungerla, ad ogni costo. Diteci, non lo trovate familiare?

Ciò che vediamo in Black Mirror è reale, palpabile, sta accadendo già oggi ma siamo troppo assuefatti per rendercene pienamente conto. I social network che vengono spesso citati sono i nostri, i telefoni e i computer anche.
Il mondo raccontato da Brooker è gelido, cinico, spietato, maledettamente vicino al nostro. Non c'è spazio per un lieto fine, mai.
Lo “specchio nero” del titolo è quello in cui vediamo riflessi al termine di ogni episodio, la sensazione di un pugno nello stomaco e tante domande per la testa.
Una in particolar modo: è così che vogliamo diventare?

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Francesca Menta

Nella vita legge fumetti, guarda cartoni e fa altre cose noiose e banali che non vale la pena menzionare. Allenatrice di Pokémon dal 1999. A quanto pare adesso recensisce anche videogiochi, coronando il sogno di una vita: poter gridare con fare oltraggiato "Lo sto facendo per LAVORO" ogni qualvolta viene trovata di fronte ad una console.

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Commenti

  1. Non ho visto la serie ma questo articolo mi ha molto interessato 🙂
    Detto questo, penso che dare dell'”untore” alla tecnologia sia il solito ragionamento superficiale e banalotto.
    Siamo dipendendi dal computer? si, come siamo dipendenti dalla ruota, dal fuoco e dalle medicine. E’ una cosa sbagliata? No, perchè la tecnologia è uno strumento, un mezzo per raggiungere uno scopo. Se ne facciamo un uso scorretto, se ci isoliamo in noi stessi e usiamo la tecnologia per riempire i buchi della nostra vita o per ignorare i fatti negativi allora è colpa NOSTRA, non dello smartphone.
    Non è lui che ti impone di guardarlo quando arriva una notifica di whatsapp, sei tu che decidi che è più importante quello che la conversazione con la persona che ti sta di fronte.

    Dare dell’untore alla tecnologia, dire che è quella ciò che ci isola non solo è inutile ma anche controproducente, perchè ci porta a proiettare i NOSTRI problemi di socializzazione su un oggetto, facendoci credere che se “ci sbarazziamo degli smartphone allora tutti saremo super-aperti e super-sociali”, quando l’unico risultato che otterremo è quello di essere soli, isolati ma senza un cellulare in mano, perchè ad essere incapaci di socializzare siamo NOI.

  2. Io credo che sia limitato fermarsi alla tecnologia, “Black Mirror” esamina molto le reazioni umane e spesso le tecnologia viene vista solo come un mezzo ulteriore che non fa altro che aiutarci a esasperare atteggiamenti che già abbiamo e sono (e questo è quello che lo rende davvero terrificante), e in fondo lo specchio ci riflette ma siamo pur sempre noi a metterci dentro le immagini.

  3. Alessio, ma infatti non si dà la colpa allo smartphone, ma, come dici tu, all’uso che se ne fa.
    Forse in alcuni punti dell’articolo sembra che si dia la colpa alla tecnologia “e basta”, come se fossimo burattini nelle sue mani: ecco, in quel caso è una mia mancanza ed un essermi espressa male, perché non è così.
    In Black Mirror – e chi lo ha visto lo sa bene – la tecnologia fa da “tramite” alle azioni DECISE dai personaggi sulla base di passioni, pulsioni, desideri LORO. Non è un caso che nell’articolo abbia parlato proprio di 15 Million Merits, perché in quel caso la tecnologia c’è ed è onnipresente, ma di fatto è quasi di sfondo, perché il punto focale dell’azione e tutto quello che comporta lo fanno i desideri e le azioni dei protagonisti, che sono certo indirizzati da una parte per via delle tecnologie che cito nell’articolo, ma che poi decidono in base alle LORO decisioni, ai LORO istinti. Non so se mi sono spiegata.
    La colpa non è dell’innovazione in sé, ma dell’uso che ne fanno i personaggi (che spesso e volentieri non sono costretti da nessuno), e questo risulta chiarissimo anche in altri episodi.
    Ecco, spero che questo punto sia chiaro perché relegare Black Mirror a “LA TECNOLOGGGIA FA MMMMALE” sarebbe veramente un oltraggio spaventoso ad un’opera che definire meritevole è un eufemismo.

  4. Bene, sono contento che la pensiamo allo stesso modo Francesca 🙂
    Non vorrei che tu abbia preso il mio commento come una sorta di “critica” al tuo articolo, come ho scritto all’inzio non avevo mai visto la serie quindi mi limitavo a rispondere alla domanda che hai scelto come titolo, una domanda che si sente chiedere spesso.

    Comunque ci tengo a dire che è stato un ottimo articolo, mi ha interessato molto alla serie e ho già recuperato la prima stagione, quindi direi che sei riuscita alla perfezione nel condividere il tuo entusiasmo.
    E’ affascinante la tecnica che usa per mostrare come i nostri problemi “semplici” sono resi ancora più evidenti dalla tecnologia che abbiamo costruito per affrontarli, come nonostante il “setting” sia avanzato e in qualche modo alieno rispetto ai giorni d’oggi (soprattutto in “15 million merits”) e tecnologicamente siamo enormemente evoluti siamo ancora sotacolati dalle nostre paure o desideri cosi “vecchi”.

  5. Per carità, fosse anche stata una “critica” ci sarebbe stata tutta; ci tenevo solo a precisare quel punto in particolare visto che, come ho detto, ridurre Black Mirror a “la tecnologia fa male” e far passare questo messaggio dall’articolo sarebbe stata una mancanza imperdonabile da parte mia. 🙂
    Comunque sono più che felice tu gli abbia dato un’occhiata e ti abbia colpito!

  6. Io trovo che la più interessante da osservare sia “White Bear”, perché a differenza delle altre (speciale incluso), nonostante la puntata mostri un certo punto di vista in materia, termina in una zona grigia alquanto vasta: la trasmissione continua e i meriti erano definitivamente deumanizzanti, Waldo è senza alcun dubbio un dittatore assetato di potere, ma invece non tutti concordano su quanto sia giusto il sistema mostrato in quell’episodio, e trovo molto interessante osservare la diversità di opinioni (in particolare, mentre le altre ci mostrano dove potremmo arrivare, questo ci fa riflettere su dove siamo già adesso).

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