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Babygirl di Halina Reijn: un thriller erotico che non seduce né sorprende | Recensione

Babygirl di Halina Reijn: un thriller erotico che non seduce né sorprende | Recensione thumbnail

Al terzo giorno della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, arriva la prima grande delusione da uno dei film più attesi di questa 81esima edizione. Parliamo di Babygirl di Halina Reijn, con protagonisti Nicole Kidman, Harris Dickinson, Antonio Banderas e Sophie Wilde. Una pellicola che prometteva fuoco e fiamme, annunciata come il “film scandalo” di Venezia. Eppure, è proprio da qui che dobbiamo iniziare: Reijn non solo non scandalizza, ma lascia dietro di sé solo imbarazzi, risatine e poco più di due ore di déjà-vu.

La recensione di Babygirl: una storia di desiderio e liberazione sessuale?

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Il piacere smette mai di essere il fulcro della nostra esistenza? Probabilmente no, eppure c’è un momento in cui lo si sottovaluta, si smette di cercare, di volere di più. Un desiderio latente, che cresce dentro di noi, come un seme dimenticato che germoglia nonostante l’assenza di cure. Così, quando i gemiti riempiono la stanza, troppo calcolati per essere veri, ci ritroviamo a chiederci: quando abbiamo iniziato ad accontentarci?

È questa la domanda che si pone Romy (Nicole Kidman), protagonista di Babygirl, una donna potente, realizzata, a capo di una multinazionale tecnologica. Mentre suo marito Jacob (Antonio Banderas) le sussurra un dolce “Ti amo” prima di addormentarsi, convinto di aver adempiuto ai suoi doveri coniugali, Romy scivola silenziosamente fuori dal letto. Nuda, attraversa il lungo corridoio di una casa perfetta, quasi troppo perfetta, come a voler nascondere qualcosa, nascondere sé stessa.

Si riveste in fretta, accende il computer, digita un sito porno. Senza nemmeno guardare cosa appare sullo schermo, sceglie un video a caso, come se fosse un gesto meccanico, automatico. Sul tappeto, pancia a terra, si abbandona a un piacere solitario, segreto, vergognoso. È solo allora che trova un orgasmo vero, intenso, primordiale.

Da qui la vita può ricominciare: la routine quotidiana prende il sopravvento, tra skincare, pancake a colazione, sorrisi forzati e l’arrivo in ufficio. Essere una madre perfetta, una professionista impeccabile, una moglie esemplare. Prendersi cura del proprio corpo, seguire i dettami di una società che impone standard impossibili.Apparire felice, soddisfatta, grata. Un meccanismo ben oliato, ma vuoto. E proprio quando sembra che nulla possa scalfire questa patina di perfezione, ecco che arriva Samuel (Harris Dickinson), il giovane stagista, l’imprevisto, la passione proibita. Ma è davvero questo che serve a Romy per sentirsi viva?

Un film amorale o bigotto?

Babygirl non offre una risposta. Alla fine, tutto ritorna al punto di partenza, come se nulla fosse accaduto. Nessuna trasformazione, nessuna consapevolezza. Il sesso, anziché liberatorio, rimane incatenato a pregiudizi e paure. Forse è la domanda stessa a essere sbagliata. Forse dovremmo chiederci: abbiamo davvero bisogno di un film così?

Le premesse di Halina Reijn con questo film erano promettenti: affrontare temi ancora tabù, come il piacere femminile, libero da vergogna e giudizio, soprattutto quello di una donna che vuole godere all’interno di una società ancora schiava di una rappresentazione dominata dall’assurdo concetto secondo cui è l’uomo quello a cui deve piacere e la donna il mezzo per raggiungere questo godimento. Un classico stereotipo secondo cui un uomo con più partner è qualcuno da ammirare, mentre una donna con più partner è solo una puttana.

Babygirl vorrebbe mettere questo piacere femminile al centro di tutto. Lo notiamo fin dai titoli di testa, privi di immagini, che riempiono la sala di gemiti vibranti, fondendosi con la musica, e che ritornano costantemente come un leitmotiv. I dettagli sulle labbra della Kidman, gli sguardi intensi, gli occhi languidi, supplichevoli, a tratti perfino allucinati.

Si combatte un tormento interiore tra il voler essere liberi, dare libero sfogo alle proprie fantasie, e il velenoso pensiero “Se gli altri dovessero sapere, cosa penseranno di me?“. Come se non si potesse essere una donna sessualmente inibita, una slave o mistress, una dominatrice o una sottomessa, e al contempo una leader, una donna lavorativamente di successo, una buona madre, una buona moglie, una brava persona.

Babygirl tradisce, però, questa promessa già dopo venti minuti. La tensione erotica, che dovrebbe essere il cuore pulsante del film, è assente. Lo sguardo tra Romy e Samuel, che dovrebbe scatenare scintille, lascia indifferenti. Se non fosse per il ruolo ovvio di Samuel, ci chiederemmo quale sia il vero significato di quelle occhiate, dei dialoghi ambigui, delle labbra morse. Ma il film non riesce a far crescere quella tensione che è l’anima di ogni buon thriller erotico.

Babygirl, la recensione: commedia grottesca o thriller erotico?

Ciò che lascia più perplessi è l’incertezza del tono del film. Babygirl non è né un thriller né una commedia grottesca. Se l’intenzione era quella di destrutturare un genere dominato da una visione maschile, il risultato è un’occasione mancata. Reijn non riesce a osare, a portare sullo schermo un erotismo autentico, crudo, che scuota davvero le coscienze. Il film si accontenta di suggerire, di sfiorare temi che avrebbero potuto renderlo coraggioso, ma che rimangono semplici spunti di riflessione non sviluppati.

L’occasione di raccontare di una donna dominante in tutti i sensi, di un reale ribaltamento dei ruoli, di un approfondimento delle dinamiche della sottomissione che non riguardano l’umiliazione nel senso tradizionale, ma qualcosa di molto più profondo: una rinascita mentale, un modo di vivere il sesso che una generazione più giovane può comprendere meglio, quasi come se fosse un istinto naturale, come ci fa intendere Samuel. Vivere il sesso anche nella sua crudezza, nel suo essere sporco e grezzo.

Se da un lato notiamo l’imbarazzo delle prime volte, di fronte alla sperimentazione, prestarsi a un gioco di dominazione, un desiderio che magicamente si materializza di fronte ai nostri occhi e a cui ci prestiamo in maniera un po’ impacciata, esattamente come sarebbe nella vita reale, dall’altro lato, però, Halina Reijn cade nel non farci vedere davvero l’orgasmo, gli umori che macchiano i vestiti, le lenzuola, scivolando in rivoli dalle cosce. È sempre tutto così pulito, tutto così patinato.

Vogliamo davvero rompere gli schemi? Vogliamo davvero provocare? Eccitare? Allora facciamo film coraggiosi, che istigano, provocano ed eccitano davvero. Vogliamo sovvertire le regole e rendere l’erotismo grottesco e satirico? Va benissimo, ma allora andiamo fino in fondo.

Anche il rapporto tra Romy e le sue figlie, che avrebbe potuto approfondire il tema della bellezza, del successo e delle dinamiche familiari, rimane in superficie. Babygirl non osa, non provoca, non eccita. Non c’è quella crudezza, quella sporcizia che avrebbero potuto trasformare il film in un’opera veramente rivoluzionaria.

In conclusione, Babygirl di Halina Reijn spreca un’ottima occasione per parlare di liberazione sessuale, rottura degli stereotipi e delle etichette, così come di corpo, donne e dinamiche di potere, instillando appena una piccola pulce nell’orecchio del “grande pubblico”. Ma soprattutto, tradisce ogni tipo di aspettativa di chi sperava di ritrovare in questo film il coraggio, l’ironia e la carica erotica di pellicole come Secretary; e invece, ciò che vi aspetta è un mero Cinquanta Sfumature, meno patinato e solo leggermente meglio confezionato.

Secretary - New Edt.
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  • James Spader, Maggie Gyllenhaal, Jeremy Davies (Attori)
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