Erano anni che il pubblico chiedeva a gran voce alla divinità dello streaming online di inserire nel suo catalogo l’anime che ha cambiato la storia dell’animazione giapponese: Neon Genesis Evangelion. E Netflix, in tutta la sua magnanimità, ne ha comprato i diritti mondiali per poterlo aggiungere al proprio palinsesto.
Tutto bellissimo. I fan sono in trepidante attesa, ma qualche problema si affaccia all’orizzonte: il vecchio adattamento non si può più utilizzare. I diritti sono finiti in uno di quei baratri legislativi dai quali di rado qualcosa è in grado di uscire. Il colosso dello streaming, però, non può farsi abbattere per così poco e annuncia un nuovo doppiaggio, rivisto e corretto, insieme a nuove voci per i protagonisti. L’idea, in principio, era buona. E’ l’occasione per migliorare un lavoro realizzato quasi vent’anni fa.
Ma ecco che arriva il 21 Giugno, sono le 8 di mattina, apriamo un occhio, controlliamo il cellulare, clicchiamo l’app di Netflix ed è subito Neon Genesis Evangelion. Parte Zankoku na Tenshi no these, cominciamo a ballare l’opening cantandola a squarciagola. Poi arrivano i primi dialoghi.
Due tap più tardi siamo su Facebook. L’anarchia ha vinto, solo post di Evangelion, ed è l’inferno. Sotto la bandiera comune dell’hashtag #evaflix la rete si fa tutt’uno per dire che il nuovo adattamento non si può ascoltare. E non è una questione di doppiaggio, sono proprio le parole dette dai personaggi ad essere quantomeno discutibili. Trascorsa una settimana il nuovo adattamento di Evangelion ha monopolizzato tutte le conversazioni tra amici in Italia, distruggendo come un Third Impact qualsiasi altro argomento di discussione. Dopo una settimana di silenzio, il 28 giugno tramite un post su Facebook, Netflix annuncia di aver rimosso il doppiaggio italiano, di aver revisionato i sottotitoli e di star lavorando ad una versione aggiornata e corretta dello stesso.
Ma cerchiamo un attimo di capire cosa non tornava nel vecchio adattamento e cosa ci aspettiamo da quello attualmente in lavorazione.
Cosa non andava nell’adattamento
Netflix aveva commissionato l’adattamento ad una società terza, la quale aveva ingaggiato come adattatore Gualtiero Cannarsi, già conosciuto agli appassionati di animazione per i controversi lavori sui film dello Studio Ghibli. Sono sue alcune frasi un pochitto fumose, auliche più di quanti viventi umani possano volere e dalla seppur corretta forma contorta il giusto sintassi, come “A dire che ti spiace tanto, se poi verrai spazzata via dalle bombe, non vorrò saperne” ( da La tomba delle lucciole).
Nonostante Cannarsi si fosse occupato del precedente adattamento italiano di Evangelion sorgeva già qualche dubbio tra i fan della prima ora. E, in effetti, ci sono almeno due problemi che vale la pena di discutere: il cambiamento dei nomi e il vocabolario utilizzato.
Cambiare i nomi: come, dove e perché.
Se già conoscevate Neon Genesis Evangelion (Shin Seiki Evangerion in originale) vi si saranno sicuramente drizzate le orecchie sentendo strani nomi che non combaciavano con quelli impressi nella vostra memoria. Si passa da pronunce molto simili al giapponese a veri e propri sconvolgimenti. Non si fa nemmeno in tempo a finire la prima puntata che i mostri-che-arrivano-dal-cielo (immancabili, come qualsiasi opera con i robottoni) universalmente riconosciuti come Angeli non si chiamano più Angeli.
Sono diventati Apostoli.
Un cambiamento importante, che Cannarsi ha motivato spiegando che il termine utilizzato nell’originale, shito, significa letteralmente apostolo, non angelo. Questo nonostante le scritte maiuscole rosse che campeggiano sugli schermi di tutto il quartier generale della NERV all’arrivo di un nemico dicano Angel Attack. Insomma, la traduzione precedente era impropria.
La domanda da porsi, però, è un’altra: c’era proprio bisogno di cambiare un termine diventato così importante non solo nella cultura dell’animazione, ma addirittura un simbolo della cultura giapponese in Italia? Perché sradicare a forza dalla nostra mente un termine così forte? Ogni volta che ci ritroviamo a guardare un mostrone-dal-cielo in Evangelion il cervello salta come un forsennato dal termine Angelo a quello Apostolo. Non è questione di affezione, finché il mostrone mantiene il suo significato intrinseco può avere qualsiasi nome, è questione di radicamento del termine nell’immaginario collettivo.
Altro esempio da citare è quello della parola Berserk. Fine del secondo episodio. Shinji Ikari sale sull’Eva, si scontra con Sachiel. Sta per essere sconfitto, ma l’Eva dà di matto, perde la sua umanità e si mangia il nemico tipo cereali nel latte. Bene, nel vecchio adattamento Ritsuko diceva “È andato in berserk!”, oggi dice “È andato in stato di furia”. Di nuovo, c’è un punto a favore del nuovo adattamento: il termine giapponese originale, bosou, è propriamente giapponese. Perché mai utilizzare un inglesismo per tradurre dal giapponese all’italiano? Possiamo tradurlo in italiano perfettamente, perché prendere in presto dove non ce n’è bisogno?
Perfettamente, però, mica tanto. Berserk funziona meglio per due semplici motivi. In primis per il suono stesso della parola: più dura, quella k marcata alla fine dà proprio l’idea di follia misto violenza fisica, perfettamente calzante quando si va a guardare l’Evangelion che perde la sua umanità. Al contrario la perifrasi stato di furia è meno immediata, perde di pathos.
Il secondo motivo è che a dire quella parola è Ritsuko: una scienziata che fa parte di un team che collabora con tutto il mondo e nelle strutture di ricerca è comunissimo prendere in prestito o addirittura italianizzare parole inglesi. Insomma, che Ritsuko utilizzi una parola inglese per indicare un particolare stato di un robot calza a pennello. Era una scelta discutibile utilizzare un termine inglese? Sì, ma funzionale e credibile.
Ma i nomi cambiati, le parole modificate, non sono che la punta dell’iceberg. E ammettiamolo, è una punta dell’iceberg che possiamo anche condividere.
Il problema vero è il vocabolario
Gualtiero Cannarsi si pone come obiettivo ultimo quello di far lasciare ad ogni parola giapponese tutte le sue sfumature quando questa viene tradotta in italiano. È ammirevole cercare la fedeltà a tutti i costi, tuttavia è un obiettivo impossibile da raggiungere. Questo perché, molto semplicemente, uno spettatore italiano non è un giapponese. Una lingua si sviluppa all’interno di una comunità con una cultura specifica, fa riferimenti ad una cultura specifica e non è possibile prenderla e riportarla in un altro Paese se non sacrificando qualcosa. È come prendere un leone, maestoso nel suo habitat naturale, e spedirlo in Antartide armato solo di cappottino leggero.
Il risultato finale rende il nuovo adattamento di Evangelion faticoso come correre i 3000 metri siepi. Via, questa è la frase principale, ok, ora salta quella subordinata! Oh no, sono inciampato in un passivo, aspetta, mi rialzo, diamine! Mi è arrivato addosso un termine improbabile, devo neutralizzarlo!
Tutto questo deriva dalla costruzione delle frasi, piene di passivi, riflessivi, dislocazioni e termini desueti sparsi un po’ ovunque. L’effetto collaterale, poi, è che a causa di tutti questi termini improbabili i personaggi sembrano parlare tutti nello stesso modo. Non si apprezza come si dovrebbe la differenza tra un quattordicenne, una trentenne, un uomo dell’esercito e un annaffiatore di cocomeri.
Senza contare che, di nuovo, la NERV è una struttura scientifica (sui generis e con spiccate punte di esoterismo, ma comunque scientifica) e in una struttura scientifica la lingua parlata è diretta, semplice, pulita. Va dritta al punto senza troppi ammennicoli.
Si finisce anche per distrarsi da tutto il resto, non si riesce a godersi disegni e animazioni perché si è concentrati nel fare a pezzi le frasi e rimetterle insieme per capirne il significato.
In più, come se non bastasse, il linguaggio è talmente specifico da diventare didascalico. Sembra che Cannarsi si sia scordato che l’animazione è un medium formato da più parti che interagiscono tra loro, provando a dire tutto quello che poteva con le sole parole. L’effetto finale è lo stesso che avreste se prendeste un quadro e cominciaste a disegnare freccette e a scriverci appunti sopra.
L’assenza di un pezzo importante
Ah, nella nuova versione è completamente assente l’ending che è entrata nei nostri cuori: Fly me to the moon. C’è solo nella versione Giapponese e questo perché i diritti costavano troppo, semplice. Semplice, ma fa ancora male, e qui si tratta proprio di affetto verso quella stupenda e azzeccatissima versione della canzone che, nell’edizione originale, proponeva un arrangiamento differente ad ogni episodio.
Il pentimento di Netflix e l’ammenda
Gualtiero Cannarsi ha provato a difendere il suo lavoro con le unghie e con i denti. Ha partecipato a ben due live di più di tre ore in cui l’adattatore discuteva con tutti i suoi detrattori, ma tutto ha perso di significato quando lui stesso ha dichiarato di non aver mai visto Evangelion con l’adattamento da lui prodotto. Come si fa a difendere con tanta tenacia un prodotto che non si conosce nella sua totalità, signor Cannarsi, potrebbe anche spiegarcelo. Netflix Italia, però, ha dato ascolto al pubblico.
Probabilmente il flop lo aveva annusato, dato che l’arrivo di Eva sulla loro piattaforma era passato in sordina, ma il 28 Giugno ha annunciato di aver revisionato i sottotitoli italiani e di aver completamente rimosso il doppiaggio nella nostra lingua. Il pubblico ha esercitato il suo diritto di non apprezzare qualcosa, che poi, parliamoci chiaro, è l’unico diritto che ha. Ha esercitato questo diritto ad alta voce, ha manifestato nelle piazze dell’internet e Netflix, da sovrano delle serie TV benevolo qual è, lo ha ascoltato.
Cosa succederà ora?
Non disperate, Netflix ha detto di essere già al lavoro sulla revisione e correzione dell’adattamento precedente. Probabilmente non avremo un doppiaggio italiano per qualche mese, a voler essere ottimisti. Quello che ci si può aspettare è che i dialoghi avranno senso.
Per riuscire a fornire un nuovo adattamento italiano per Evangelion la scelta migliore sarebbe ripartire da zero, fare tabula rasa, prendere un nuovo foglio bianco e ricominciare a lavorare fin dalla prima battuta del primo episodio. Un lavoro lungo e complicato che non ha precedenti nella storia della piattaforma.
La speranza è che la prossima volta che vedrete Evangelion in italiano tutti i patti tra spettatore e produttore dell’opera vengano rispettati. Sì, perché il problema stava tutto nei patti che si stringono tra davanti e dietro lo schermo:
“Ok, io non vengo a questionare sul fatto che, inspiegabilmente, di tutto il mondo è sempre a Tokyo che arrivano i mostri dal cielo, ma tu cerca di non farmi porre questa domanda”.
“Ok, quell’oggetto lì ha il nome di un’altra cosa, ma lo chiamo così, perfetto, però tu non dargli sette nomi diversi, per favore”
Stavolta il patto l’abbiamo sentito rompersi. Non eravamo in grado di urlare, sentire dolore assieme ai personaggi, gioire con loro. Venivamo tirati fuori, ci ricordavamo di essere davanti ad uno schermo e non alla NERV ogni volta che sentivamo una parola fuori luogo. Riuscivamo ad empatizzare solo con Pen², peccato solo sia un pinguino e non parli.
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